L'insegnamento è: non è il caso di essere luddisti, e neanche di avere una certa nostalgia analogica, se sappiamo dare il giusto valore alle cose.
Il rischio però che il messaggio di Marco Paolini venga frainteso come tragico c'è, perché è nel suo stile teatrale sbattere in faccia la criticità delle cose.
#Antropocene è uno spettacolo singolare, un po' teatrale, un po' musicale, con Paolini voce recitante, Frankie hi-nrg mc che rappa e recita (pure bene), Mario Brunello che suona il violoncello e dirige l'orchestra impegnata in una partitura (un filo cinematografica ma con un intelligente uso della ripetizione a beneficio del rap) di Mauro Montalbetti: attraverso le assurde conversazioni tra un utente di una compagnia telefonica e il relativo call center, si vivono l'incubo creato da un lessico fatto di bit, byte, aggiornamenti,connessioni e la paura che la possibile apocalisse – nell'Antropocene, l'epoca geologica cioè particolarmente segnata dall'uomo – non sia magari un maremoto bensì il collasso della rete. Si arriva a una disumanizzazione tale da poter fare amicizia con un computer. La drammaturgia ricalca l'oratorio barocco e chi conosce Bach può persino captarne i riferimenti, ma la struttura a monologo, pezzo rap, musica strumentale, dialogo forse non è la più adatta, rallentando lo scorrimento di uno spettacolo che, pur durando un'ora soltanto, appare ben più lungo.
Federico Capitoni
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