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La Repubblica (Roma) – Marco Paolini La macchina del capo parabola di un’iniziazione

«UN BAMBINO nato ai piedi delle Alpi va in pianura, cambia casa, dialetto e compagni di gioco, ha un impatto con un' Italia periferica delimitata da ferrovie e cemento, si conquista gli spazi del gioco con pallone, biciclettae armi da ragazzi della via Pal, senza la tutela degli adulti, come per l' infanzia del dopoguerra, e alla fine della scuola va in colonia, conosce meglio il mare, lontano dai genitori». Questa è la trama anni ' 60, la parabola d' una iniziazione, il succo del parlare a ritroso di Marco Paolini ne La macchina del capo, viaggiospettacolo (umanissimo e mitico, aggiungiamo noi) in scena stasera a Villa Doria Pamphilj, per I Concerti nel Parco, con testi che sono dello stesso Paolini e di Michela Signori, e con musiche originali di Lorenzo Monguzzi. «Chiudo con un flashback di quando ero ancora più piccolo, con la prima andata al mare, e la discesa a Roma a vedere Paolo VI, e poi c' è un pezzo di quell' epoca in cui userò un linguaggio diverso». È una moviola confidenziale ed emozionante che fa risentire i gusti acerbi, le sorprese innocenti e i costumi e gli stati d' animo di cinquant' anni, La macchina del capo, ritratto personale e osservatorio sociale di cui s' è arricchita la vita artistica di Paolini dal 2008, mentre l' odierno suo lavoro di riferimento è Itis Galileo. «Il lavoro di stasera è nato per gioco, su richiesta estiva di Dacia Maraini, e poi l' ho proposto a fine dicembre di tre anni fa a La7, ed è rimasto un esercizio di leggerezza. Farlo a Villa Pamphilj è l' ideale, è una vacanza dove gli adulti possono portare i figli, tanto non lancio messaggi, e c' è solo qualche puntina di acido. Non faccio l' oratore civile a caccia di problematiche e attualità. Che poi, a dirla tutta, le definizioni mi stanno un po' strette... Qui il discorso lo tengo tutto su un registro di realismo fantastico, per citare Rodari». Non è proprio solo, quest' instancabile dispensatore di parole. «Ho un complice straordinario, Lorenzo Monguzzi, che quando non suona fa le controscene, e se fossi Eduardo mi arrabbierei ma invece va benissimo, si raddoppia l' effetto». E ribadisce che un attore deve esplorare tutte le strade. «Anche quelle delle zingarate, della vitalità ragazzina».

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