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La Repubblica (Spettacoli Roma) – I ragazzi da oratorio ora preferiscono il Che

primeteatro – ‘Liberi tutti’ di e con Marco Paolini

RISALE a due anni fa, ‘Liberi tutti’, ed è il terzo "album" teatrale di Marco Paolini in forma di monologo sull'adolescenza. Questo attore bellunese oggi trentottenne, residente a Treviso, affiliato al Teatro Settimo dall'87, è il protagonista solitario di un mare di reminiscenze di gioventù con un filo conduttore che è opera sua e di Gabriele Vacis, ed è Vacis stesso ad aver qui impostato una regia da fabula zavattiniana, un Amarcord impalpabile in lingua alto-vicentina o 'paleo-veneta', un almanacco ilare e toccante di trasgressioni veniali, di prese di coscienza fra parrocchia e comunismo. Uno specchio dell'epoca in cui il gioco del calcetto cedeva il posto, in provincia, a un furtivo teatro didattico.

Dopo ‘Adriatico’ e ‘Tiri in porta’, il ritratto generazionale di Paolini si sposta, in ‘Liberi tutti’, al settennio che va dal '67 al '73, e i suoi ragazzi d'oratorio crescono, i piccoli uomini attaccati ai flipper giungono a capire che i padroni, in fabbrica, possono "defraudare", o disonorare le operaie, e i ragazzi sotto la

protezione dei santi tifano ormai per un eroe dal nome Che Guevara. All'origine di queste foto di gruppo, di questo rievocare ansante e genuino c'è ‘La guerra dei bottoni’, ma si è tentati di riconoscervi pure il provvido retroterra cameratesco di ‘Libera Nos a Malo’ di Meneghello, da cui non a caso Paolini e il Teatro Settimo già ricavarono nell'89 uno splendido orizzonte di memorie. Ora l'epopea ha il gusto di una confettura ancora più asprigna, più piacevolmente acerba, a volte con la sorpresa di acini che lì per lì andavano giù di traverso ai teenager del Belpaese. Era questione di farci lo stomaco, per loro. E sul "come" ciò avvenne, lo spettacolo redige un affettuoso libro bianco.

In certi momenti di dialogo, Paolini si fa portavoce di scene in famiglia, di conventicole in sacrestia, di paesaggi alla ventura. E un po' alla maniera del Benvenuti sfaccettato in ‘Benvenuti in casa Gori’, con analogie per i prototipi senza vanità di Ugo Cinti, colui che in ‘Liberi tutti’ narra gesta e cicli (e biciclette) si fa interprete d'una sfilza di personaggi: del ragazzo-guida Nicola, ma poi anche della nonna Italia, del cappellano Don Tarcisio, del parroco Don Bernardo, degli amici coetanei, e dell'emancipatore Barbin Cursari. Una stupefacente intensità scaturisce dai retaggi in controluce dei dialoghi in casa, con la suprema nonna, col burbero babbo. Peccato, che queste zone svaniscano presto.

Si, perché è allettante lo snodarsi dei passatempi col prete, delle prediche sui ricchi e sui poveri, delle tappe di superamento dell'infanzia. Ha un suo fascino il bilancio d'un Capodanno adulto, ed è un godimento quel collaudo clandestino di Brecht anziché di Goldoni Ma a dispetto d'una lunghezza non sempre calibrata, e d'una troppo gioviale beatitudine regressiva, sono i paragrafi notturni a dare il maggior senso, e l'emozione, in questo percorso dove per fortuna non tutto è spiegato.

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