Oggi nell'Aula magna Venturi di Palazzo Nuovo la denuncia di un "narrattore" davanti ai "cittadini" lo spettacolo
ricordare ustica
Se la metti in numeri, è matematica, pura astrazione: 28, 6, 80, come giorno mese e anno del fatto; 81, come il numero delle vittime; 870, come il numero del volo; 9, come il tipo di aereo e l'ora dell'esplosione; 8 e 56, come ora e minuto dell'ultimo contatto radio; e via di seguito. Se la metti in nomi, è un rosario, un elenco che non dà pace: ottantun persone, età, professioni, speranze, vite. Se la metti in geografia, è una carta aerea, è un'isola del Mediterraneo, Ustica, che significa ustione, bruciatura, e infatti brucia ancora dopo ventidue anni. Se la metti in storia, come la mette Marco Paolini, è una tragedia che ferisce. All'inizio ti fa sentire incredulo e impotente; poi ti dà rabbia, spinge a reagire, a chiedere giustizia, a volerla ottenere: non per te, non solo per le vittime, ma per quel corpo, per quell'entità di cui fai parte insieme a milioni di altre persone, che si chiama comunità. La tragedia raggrumata in racconto si intitola ITIGI. È la storia del DC9 Itavia abbattuto da un missile fra Ponza e Ustica la sera del 27 giugno 1980.
Uno spettacolo. Un'orazione civile. Una rievocazione. L'ultimo appuntamento a cui potete partecipare è oggi alle 17, nell'aula magna Franco Venturi di Palazzo Nuovo. Il biglietto costa 3 euro. Vale la pena. «Il nostro è teatro di memoria e denuncia - racconta Paolini - Lo abbiamo ricavato dalle cinquemila pagine della sentenza di rinvio a giudizio per 28 militari dell'aeronautica che hanno visto, omesso e occultato. La sentenza, depositata nel novembre del 1999, è firmata dal giudice Priore. Vi sono delle certezze raggiunte, dei dati e dei dubbi sulla base dei quali Daniele Del Giudice e io abbiamo composto il testo». Due anni or sono è stato un evento teatrale a Bologna e a Palermo, trasmesso poi in televisione. Era un canto, con le musiche di Giovanna Marini; ora è diventato un conto, un conto da saldare e un'affabulazione con il narrattore solo in scena a far da testimone, da guida, da Caronte e da Virgilio nella discesa agli inferi della memoria. Una discesa che dura quasi tre ore, e non stanca, ne vorresti di più.
È forte il senso di comunità davanti a Marco Paolini monologante che si rivolge a te con l'appellativo «cittadini». Il pubblico, tutto, lo chiama «cittadini». «L'importante per me è far riflettere - dice - non tanto far indignare. Siamo tutti pronti all'indignazione, ma è un sentimento fugace, si dimentica subito, e poi che cosa resta? Voglio, invece, che rimanga qualcosa, dopo lo spettacolo, che ci si interroghi, che venga il bisogno di farsi e fare delle domande, anche le più semplici: perché tutta quella omertà, quelle omissioni su Ustica?». Meglio far crescere la ragione, che sulle cose attecchisce e germoglia, fa nascere idee, aiuta a costruire opinioni. «So che nel luglio del 2003, per i reati minori, scatta la prescrizione - avverte - Non vorrei che scattasse anche l'oblio».
È fatto di informazioni, ricordi, sorrisi e dolore, il suo racconto: per non dimenticare. In jeans e camicia, un tavolo vicino, una lavagna con l'Italia disegnata in bianco, Paolini ti accompagna indietro di ventidue anni. Modula la voce come una carezza o una frustata. Scatena liberatorie risate, chiosando il presente politico che stiamo vivendo, e poi torna di colpo al punto urticante, alla vecchia ferita. Gli basta una pausa, e sei di nuovo su quel cielo, quella sera d'estate, fra Bologna e Palermo, a bordo del DC9; «ITIGI è la sua targa - spiega - La prima "I" sta per Italia, il resto con lo spelling suona: Tango India Golf India». Legge tabulati, decifra tracciati radar, riferisce registrazioni telefoniche e radio. Riporta a quel tempo, ai depistaggi, alla situazione internazionale, al Muro di Berlino, al doppio gioco dell'Italia, alle debolezze di Carter, alle Olimpiadi di Mosca, a Cossiga e Andreotti, al colpo di stato in Libia, alla morte di Tito, all'Afghanistan. Con le parole, i toni, gli sguardi e i silenzi costruisce davanti agli occhi un puzzle. Lì dentro è la verità. Nascosta. Tocca a te trovarla.
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