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La Stampa – Paolini tra bestie e uomini

Musica e parole attraverso l'Italia "vera"

Corte: nuovo lavoro dell'attore-autore di "Racconto del Vajont"

GENOVA - Finisce con un improbabile ma suggestivo dialogo a distanza, fra Veneto e Sicilia, fra Zanzotto e Buttitta, lo spettacolo "Bestiario italiano" che Marco Paolini propone alla Corte da martedì sera con la cooperativa "Moby Dick".

Alla prima, folto pubblico e successo via via crescente fino ai calorosissimi applausi finali con ripetute richieste di bis.

Paolini, una lunga attività di attore e di autore, è noto soprattutto per la fortunata realizzazione del "Racconto del Vajont" per il quale ha ricevuto importanti riconoscimenti: il Premio Speciale Ubu 1995 per il teatro Politico, il Premio IDI 1996 per la migliore novità italiana e l'Oscar della televisione per il miglior programma del 1997.

Da alcuni anni ha avviato una ricerca sui "Bestiari" che si è concretata in una serie di spettacoli e di scritti. Nel più recente, "Bestiario italiano, i cani del gas" (in scena dall'Estate veronese '99) Paolini immagina un viaggio attraverso la penisola, fra disincanti e ossessioni che fotografano le inquietudini e le assurdità del nostro tempo.

L'italiano si scioglie nelle inflessioni regionali, la prosa confluisce in versi poetici: umori dialettali vivaci, coloriti, illuminanti con quelle verità apparentemente banali che i grandi poeti sanno cogliere universalizzandole.

È l'Italia multiforme, avventurosa e intraprendente, dalle svariate lingue, quella che cerca di conciliare la propria identità nazionale con l'irrinunciabile rispetto per le tradizioni locali.

Paolini percorre idealmente strade e autostrade, inseguendo mete che paiono irraggiungibili e che suggeriscono al viaggiatore argomenti diversi: la politica gioca naturalmente un ruolo determinante soprattutto nella prima parte in cui l'attore ripensa al suo Veneto, brulicante di fabbriche e di imprenditori ("Siamo uomini o commercialisti?").

Ma ci sono riferimenti alla Palermo coraggiosa che lotta contro la mafia (adesso, dice Paolini, si preferisce parlare di racket, un termine più europeo e moderno), alle discariche per le quali l'Italia detiene non invidiabili primati, alle autostrade talmente pericolose da richiedere vere e proprie guide illustrative quasi si trattasse di piste alpine.

Le parole sono sostenute dalla musica. A offrirla, un solido gruppo di sei strumentisti e cantanti: Daniela Basso, Silvia Busato (splendida voce), Cristina Vetrone, Stefano Olivan, Lorenzo Pignattari, Francesco Sansalone.

Melodie e ritmi, abilmente ricreati, che creano le atmosfere sulle quali Paolini costruisce monologhi spigliati, scivolando qua e là nei versi dei poeti: da Calzavara , Marin e Zanzotto, giù fino a Buttitta (il suggestivo "Li vuci di l'omini"), da "Bora" di Grisancich a "Arillo" di Di Giacomo.

Non si tratta di semplici letture. I versi spesso si trasformano in parole musicate e addirittura in suoni, rimbalzando nelle varie voci del gruppo.

È il caso di "Litania" di Caproni ("testimone" per la Liguria con Eugenio Montale), con una Genova dalle mille facce, dagli infiniti umori, "Genova, di tutta la vita", rivissuta con efficacia attraverso una emozionante coralità di polifonia musicale e testuale.

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