Torna Marco Paolini a Roma, all'Ambra Jovinelli, con due spettacoli del suo repertorio di teatro d'impegno e di denuncia, "I Tigi - racconto per Ustica" e "Parlamento chimico", che andranno in scena da martedì fino al 15 a giorni alterni: il primo verrà proposto il 3, 5, 7, 11, 13, 15 dicembre; il secondo il 4, 6, 8, 10, 12, 14.
Paolini, ancor prima di essere un attore, è un narratore, uno che si mette davanti a una platea e comincia a raccontare storie. E siccome è un uomo dal forte impegno civile e abitato da un senso enorme dell'indignazione, le storie che racconta sono, in sintesi, vergogne nazionali, scandali insabbiati, stragi di innocenti, misteri di Stato. Ricostruisce, rintraccia, riannoda i fili di avvenimenti che interessi particolari hanno voluto nascondere, riporta alla memoria dichiarazioni e fatti, legge documenti, verbali di interrogatori e carte processuali, maneggia cifre, dati, statistiche, trasforma il teatro in un dossier giornalistico e i dossier in teatro, parla, svela, ricorda, sta lì sulla scena per ore a scuotere la coscienza degli spettatori, a risvegliarla alla stessa indignazione che lui prova. Un sovversivo della parola.
"I-Tigi, racconto per Ustica", da Paolini scritto assieme a Daniele Del Giudice, è quello che il titolo indica, la storia dell'abbattimento dell'aereo Itavia e dei fatti che seguirono, oltraggiosi per chi ci lasciò la vita. "Parlamento chimico" invece, composto assieme Francesco Niccolini, riguarda la vicenda di Marghera e degli impianti petrolchimici. Nascita, sviluppo, declino di un porto e dei suoi stabilimenti che furono fugace orgoglio dell'imprenditoria italiana e che ammazzarono di cancro i lavoratori. Nessuno ha mai pagato per tutti questi morti, ricorda Paolini, nessuno si è mai preso le sue responsabilità, nessuno ha detto di fronte a Dio e agli uomini "sì, ho sbagliato". Paolini svolge uno dei compiti essenziali per un uomo di palcoscenico, che è di ricordare ai suoi contemporanei da dove vengono, chi sono, cosa hanno fatto. Incominciò vari anni fa con un altro grande dramma italiano, il Vajont, e dopo un breve passaggio romano in una piccola sala di Trastevere, diventò subito un caso della scena nostrana: aveva recuperato il concetto di teatro di narrazione ma trasformandolo in "teatro civile", che rimemora ai vivi i loro morti ingiusti. Solo in scena, oratore-maratoneta, instancabile coscienza critica, l'artista accusa.
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