di Simone Bobbio
«Nell’ottobre 2023 è caduto il sessantesimo anniversario della tragedia del Vajont e il trentesimo dello spettacolo che avevo messo in scena per raccontarla. Con il passare del tempo mi ero reso conto che il ricordo di quelle vittime andava riadattato alla nostra epoca dominata da tanti piccoli Vajont, provocati da fenomeni climatici sempre più estremi. L’obiettivo era sviluppare ulteriormente il tema dell’acqua e dei fiumi attraverso nuove modalità narrative. Non più il monologo bensì la coralità per rappresentare l’arte e la scienza, la voce degli esperti e dei comuni cittadini, l’ecologia e l’antropologia, il passato, il presente e il futuro dei corsi d’acqua attraverso errori e modelli virtuosi di gestione di una risorsa sempre più fondamentale. Il progetto si chiama Atlante delle Rive».
Marco Paolini prosegue nella sua instancabile opera di rinnovamento dell’arte teatrale attraverso la semplificazione. Ai tempi de Il racconto del Vajont, da solo su un palco praticamente privo di scenografia, riusciva a incantare il pubblico con una narrazione capace di intrecciare elementi spesso antitetici: la fedele documentazione con gli aneddoti, il dramma e la commedia, i dati scientifici con le testimonianze, le sentenze giudiziarie e i giudizi storici.
Alla fine dell’estate 2024 ha lanciato un nuovo spettacolo intitolato Mar de Molada che dal punto di vista della messa in scena rappresenta una sorta di ritorno alla preistoria del teatro, eliminato del tutto come luogo fisico, poiché Paolini si è presentato al pubblico in splendide arene naturali nella veste di un corifeo chiamato a dirigere un grande canto corale. Quattro date all’aperto organizzate, tra settembre e l’inizio di ottobre, su ampi prati lungo il corso del Piave per raccontare la vita del fiume, le minacce che i cambiamenti climatici possono innescare e le positive esperienze di adattamento che sono già state intraprese. Su un palco realizzato utilizzando soltanto balle di fieno, ospiti diversi in ogni data a formare un coro composto da comuni cittadini, esperti, musicisti e artisti in dialogo con Paolini.
Possiamo definire Mar de Molada come prima puntata dell’Atlante delle Rive, una sorta di modello in previsione dell’ampliamento su scala nazionale del progetto previsto per l’estate 2025. Un modo per raccontare le criticità e i modelli di gestione virtuosi di una risorsa preziosa come l’acqua lungo l’intero stivale, uno sforzo epico in cui Paolini si avvarrà della collaborazione di enti di ricerca, associazioni di cittadini e organizzazioni di ogni genere tra cui il Club Alpino Italiano, che ha avviato l’iniziativa di citizen science ribattezzata “Acqua sorgente”.
«Voglio trovare una nuova modalità artistica – prosegue Marco – per sollevare l’attenzione sulla crisi climatica senza suscitare eco-ansie e, soprattutto, per esortare le persone ad agire. In fondo, il concetto di coro ci insegna proprio a fare qualcosa collettivamente, in maniera contagiosa e virale. Il primo spettacolo sul Vajont era incentrato sulle colpe del disastro, ma la condanna può diventare l’alibi per non assumersi le proprie responsabilità. Ora vorrei analizzare gli errori da cui ripartire per evitare futuri disastri e soprattutto coinvolgere dal basso tutte quelle realtà che ragionano intorno alla tematica dell’acqua, che raccolgono dati, che elaborano strategie. Un tempo gli esseri umani avevano poche informazioni, ma agivano ugualmente, spesso commettendo errori. Oggi osservo un atteggiamento eccessivamente rinunciatario, nonostante le conoscenze di cui disponiamo. Nel corso della trasmissione televisiva La fabbrica del mondo, con Telmo Pievani si rifletteva sull’esempio delle grandi cattedrali gotiche costruite in epoca medievale nel Nord Europa: parliamo di gene che investiva energie, lavoro e soldi per realizzare opere visionarie che si sarebbero concluse una o due generazioni dopo. E noi continuiamo a sottrarre risorse ai nostri figli e ai nostri nipoti!»,
L’Atlante delle Rive si avvale dell’esperienza maturata da Paolini in occasione di VajontS 23, la rielaborazione del celebre spettacolo in occasione del trentennale, quando oltre 260 teatri e organizzazioni culturali in Italia e all’estero hanno preso spunto dal copione dello spettacolo per aggiungere ulteriori esperienze e problematiche simili che avevano segnato la vita e la storia dei loro territori. Il risultato è stato un grande spettacolo diffuso, scritto, elaborato e messo in scena da una collettività di persone. Ora l’idea è proseguire quel lavoro affrontando una tematica fluida per eccellenza.
«I giovani che partecipano ai movimenti come i Fridays for future – conclude Paolini – vogliono vedere un cambio di passo. Io me lo immagino come durante una gita in montagna quando apriamo la cartina: da dove siamo partiti, dove ci troviamo ora e dove dobbiamo arrivare? Siamo davvero in grado di reggere uno sprint oppure dobbiamo accelerare gradualmente adattando il fiato e la lunghezza dei passi al cammino che ancora ci attende? Relativamente all’acqua dobbiamo chiederci qual è il bilancio idrico di un fiume, quali sono le esigenze future dei territori serviti da quel corso d’acqua, come compensare l’impermeabilizzazione del suolo, come gestire questa risorsa, come immagazzinarla. Con l’Atlante delle Rive cerchiamo di costruire un sentimento riunendo insieme arte e scienza, in uno sforzo corale per rimettere i fiumi al centro della nostra geografia».
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