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Dal 17 ottobre è in libreria il nuovo romanzo di Marco Paolini e Gianfranco Bettin edito da Einaudi, LE AVVENTURE DI NUMERO PRIMO.
Numero Primo è il nome scelto per sé da uno strano bambino, che irrompe nella vita di Ettore, fotoreporter di guerra che a quasi sessant'anni si ritrova a fargli da padre. È stato desiderato e pensato da una madre scienziata, ma concepito e messo al mondo da un'intelligenza artificiale avanzatissima, tanto da aver sviluppato una coscienza. Non è una creatura uguale alle altre, non conosce quasi niente, tutto gli appare nuovo, bello; possiede il dono di trovare la magia nelle cose più comuni e, quando non la trova, di crearla. E le cose che non sa, le impara subito, per mezzo di misteriose connessioni. Chi lo incontra si riscopre diverso, migliore. Di lui si accorgono anche gli osservatori di una multinazionale, un Erode tecnologico che, dietro la facciata filantropica, nasconde un'oscura volontà di potenza. Cosí Ettore e Numero sono costretti a fuggire e a nascondersi. Ad aiutarli, una folla di personaggi bizzarri: scienziati rasta in grado di salvare Venezia dall'acqua alta, parcheggiatori abusivi che gestiscono nuove forme di ospitalità diffusa, commercianti sardo-cinesi, giostrai con il cuore grande e una lunga storia di resistenza. Lieve come una favola, vero come un reportage, Le avventure di Numero Primo ci regala storie e riflessioni a non finire, e soprattutto un protagonista del quale è impossibile non innamorarsi.
Comincia così...
Gli scappava, sentiva che gli scappava.
“Non adesso, dai!“
Tenne duro.
In fondo l’aveva fatta da non molto.
Però gli scappava di nuovo.
- Non adesso.
Stavolta lo disse a voce alta e la grotta rimbombò.
La pipì dovette capirlo, che doveva aspettare.
La parete di ghiaccio si aprì, lentamente, e un po’ di neve scivolò sulle rocce. Qualche raggio di sole, filtrando tra le nuvole basse, cadde obliquo sulla soglia della grotta. Sul limitare, dall’interno, si affacciò un piccolo essere. Indugiò pochi istanti, fermo, la cavità ombrosa alle spalle, il ghiacciaio e il ghiaione di fronte. Poi fece un passo avanti, nella luce fredda del mattino.
Era un bambino, di cinque o sei anni.
Portava un berretto di lana e guanti blu, una giacca a vento leggera verde scuro, pantaloni neri e scarponcini color muschio. Sulle spalle aveva uno zainetto verde chiaro.
Tratteneva la pipì, e sorrideva.
Fece un altro passo avanti.
La parete di ghiaccio si richiuse, i bordi gelarono mimetizzandola.
Lui si voltò e la guardò, continuando a sorridere, come in un saluto.
Incominciò a camminare, muovendosi come se stesse cercando un sentiero. In realtà, non c’era nessun sentiero, nessuna pista, ma lui andava lo stesso, muovendosi prudente sul gelido piano inclinato. Mantenne l’equilibrio, scendendo, ma poco dopo l’urgenza lo fermò di nuovo. Gli scappava proprio. Il limite inferiore del ghiacciaio era ancora lontano. Allora piantò gli scarponcini sul pendio.
“Adesso,” pensò, aprendosi i pantaloni.
La pipì sgorgò come una cascatella e, ricadendo, incise una trincea nel sottile strato di neve fresca, tintinnando sul ghiaccio sottostante.
- Tutto bene, brava. Ma non devi scappare se non te lo dico io.
“E una,” pensò, riprendendo la discesa.
Adesso camminava più leggero. Era bello quando non ti scappava più.
Uscì senza troppa fatica dal ghiacciaio, che si allungava risalendo il costone e avvolgendo, in quota, le dolomie e i calcari della Punta, della Croda, delle altre vette intorno.
Continuò a passo spedito, calpestando la neve residua e i sassi affioranti, le foglie morte e l’erba nuova che stava spuntando. Tra i larici e gli abeti scorse il sentiero e lo raggiunse, saltellando. Fiancheggiava un costone di mughi nani spruzzati di neve e scendeva ripido tra sassi e chiazze fangose.
Il sole entrava e usciva dalle nuvole, il vento rinfrescava il primo mattino, ma leggere, aguzze scintille di calore si insinuavano nell’aria cristallina.
© Einaudi, 2017 - Riproduzione riservata
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