Già da come si svolge la puntata di 8 e mezzo che precede lo spettacolo di Marco Paolini, martedì, ci si rende conto di come la serata su 1a7 sarà di quelle che capitano solo una volta ogni due-tre crisi di governo di seguito. Ferrara stesso è diverso dal solito: si lascia andare, sorride molto, cita passi di un romanzo, Il sergente nella neve, che deve avere amato davvero. Come se fosse di nuovo più vicino al giovane corista che pure fu, nell'opera rock della sua infanzia spirituale: Then An Alley, con musiche di Bob Dylan. Dunque niente affatto più innocente o onesto intellettualmente, di quanto sia in effetti oggi, ma almeno, per una puntata, senza alcun bisogno di dover dimostrare, per legge o per posa, di esserlo ancora. Paolini comincia l'evento televisivo di questo autunno-inverno più istrionico, più attore e meno solo narratore del solito. I primissimi minuti sono dedicati alla sua pelata che imita lievemente quella di un Duce non solo evocato ma, pure se lievemente, impersonato. E’ un confine sottile che è stato valicato (di cui già in Vajont erano presenti delle tracce, ma si trattava sempre di imitare questo o quel personaggio della folla in fuga; si senza identità, ma abbastanza pieno di sentimenti da poter essere rappresentato in una battuta tutta sua), su cui più volte si giocherà la bellezza di questo spettacolo: al di qua e al di là del teatro di narrazione, verso un monologo più classico, ma al tempo stesso innovativo. Paolini si deve essere detto: voglio rappresentare un evento che non ho vissuto in prima persona, ma di cui ci è rimasta una fonte appassionata: il romanzo autobiografico di un vero sergente in ritirata, nella steppa, con 70 uomini soli. Cosa sarà più realistico? Mostrare l'azione nel suo svolgimento fittizio, per quanto spettacolare (e anche un monologo sa essere spettacolare e mimetico, a volerlo), recitando da me tutti i ruoli che saranno necessari? Oppure far recitare le mie opinioni, le mie idee, le mie emozioni, impersonate dai protagonisti stessi della vicenda, come in una metafora animata della critica e della comprensione di un testo – di Mario Rigoni Stern – che abbiamo fatto nostro?La risposta è che II sergente è un film per la tv in diretta in cui non solo tutti i personaggi, ma anche gli attori che li avrebbero potuti impersonare sono stati interpretati da una sola persona, che è il regista,l’ autore, l’ attore protagonista( e non) di una vicenda di fatti e di idee su quei fatti, talmente ben mescolati fra di loro che è un capolavoro. Deciso a far guerra anche alla Russia contro il parere stesso di Hitler, un Mussolini- Paolini che, non senza genio, parla con accento veneto, ci mostra una cartina della Russia retta da un sottoposto senza volto. E la storia comincia. Il secondo personaggio è Paolini stesso, mentre si documenta sulla storia e sulla geografia del libro di Rigoni Stern. E la sua estetica è ancora più chiara. Fra il rumore del treno che prende per andare in Ucraina, gentilmente fornito dalla stessa voce che ne racconta il paesaggio, Marco ha reso a sua volta autobiografica anche la versione in teatro-tv di una storia autobiografica, scritta da un altro ma amata da lui al punto di non poter fare a meno di intromettercisi – lupus in fabula di proporzioni mannare- e di avere l’onestà di facerlo capire in ogni minuto delle due ore che gli sono concesse per farlo. Non ci sono fatti che non siano anche geneticamente modificati, fin dal loro prodursi, dall’ opinione che ce ne facciamo. L’ultimo personaggio siamo noi che scriviamo questo articolo su un dramma storico che avremmo capito peggio senza la televisione.
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