RECENSIONE - Siamo da tempo abituati ad applaudire Marco Paolini, figlio del teatro di narrazione e vero incantatore non con le note, ma con le parole. Lo abbiamo fatto, sempre in teatro, con “Ballata di uomini e cani” e "Verdi, narrar cantando". Anche a molta distanza, magari davanti all'apparecchio televisivo, vedendo e ascoltando le "sue" (ma solo perché di sua voce e di sua interpretazione) storie sul Vajont e su Itis Galileo. O in forma più letteraria con "Ausmerzen". Tante storie di un passato non molto antico, storie contemporanee, storie di un vissuto da prendere come monito per il futuro.
Ed è del futuro che Paolini ci racconta in questa particolare pièce, "Avventure di Numero primo"(vista al Teatro Fabbri di Vignola, in provincia di Modena) frutto del lavoro a quattro mani con Gianfranco Bettin; un futuro "fantascientifico" nel quale un uomo si ritrova a diventare padre passando per internet.
Paolini, moderno aedo, racconta di questo padre, Ettore, diventando egli stesso un (anzi "il) padre narratore pur utilizzando sempre la terza persona. Ettore, fotoreporter di guerra, incrocia su internet Echné e si innamora di questa "voce che ti brucia dentro" e da lei "ha" Nicolas, che ama farsi chiamare Numero Primo. Ettore incontra Numero Primo a Gardaland perché è lì che, come gli dice in una delle ultime conversazioni Echné, gli verrà consegnato.
La cosa che più colpisce Ettore di Numero Primo sono gli occhi e la sua infinita voglia di conoscenza, di scoperta, di apprendimento, così forte da non farlo mai dormire. Nel portarlo a casa, verso le terre che Paolini conosce bene, perché sono Venezia e la sua terraferma, dal Garda a Trieste, dalla Laguna alle Alpi, uguali a se stesse ma diverse, perché immaginate in futuro prossimo, Ettore comincia a capire come il diventare padre di un bambino di sei anni non sia tanto diverso dal diventarlo attraverso un parto. Nessuno ha il libretto di istruzioni, nessuno può insegnare come prendersi cura di un bambino ed Ettore si improvvisa, magari cercando una capra su Amazon e stampandola in 3d per dargli del latte fresco, in considerazione del fatto che vicino alla Fabbrica della neve (Marghera, ndr) non se ne trovano.
Avventure di Numero Primo è un racconto di fantascienza che svolgendosi a teatro incontra e si scontra con la dimensione del palcoscenico, risultando vittorioso nella battaglia, grazie al taglio narrativo che ne dà Paolini. E' un racconto di immaginazione che si muove a passi spediti nelle conoscenze di fisica, biologia, neuroscienze, robotica, ma anche nelle pieghe della tenerezza che solo un rapporto padre e figlio sa suscitare. E' un viaggio nella scoperta e nella conoscenza di persone che Ettore (e lo spettatore) non avrebbe potuto incontrare se non grazie a Numero Primo, è un viaggio che suscita ilarità nel pubblico (ma anche un certo brivido di terrore misto a sorpresa), quando si scopre che la scuola elementare che inizia a frequentare Numero Primo, sempre connessa via webcam e applicazione sui cellulari dei genitori, ma anche su Facebook, è intitolata a Steve Jobs ma era "Giosuè Carducci".
E' un viaggio nella tecnologia, attraverso il rapporto che abbiamo con essa e che non sappiamo che direzione prenderà. Lo viviamo, anzi lo "ascoltiamo" nelle parole di Paolini attraverso la crescita del rapporto tra Ettore e Numero Primo, tra padre e figlio, chiedendoci spesso chi è tra i due è il genitore, nel continuo mescolarsi di insegnamenti. Così come ci chiediamo, uscendo da Teatro, se siamo figli o padri della tecnologia e rimane sulle labbra il quesito: chi è Numero Primo?
E' un bambino che ricorda nelle descrizioni H7-25 (l'alieno dello "sceriffo extraterrestre" da famiglie di Bud Spencer), ma è anche il figlio di Echnè, donna (forse) troppo simile nel nome a Technè che si affida a Ettore (a ribadire le nostre radici nella classicità) per la sua protezione: forse metafora di una tecnica (o tecnologia) che fa nascere i numeri primi destinati alla solitudine e necessari di "aiuto"?
Paolini si conferma narratore all'avanguardia, un cantastorie che sa muoversi tra passato e futuro, la cui voce affascina lo spettatore trasportandolo in mondi altri, ma riportandolo al presente con interrogativi e riflessioni da portare a casa. Ed il Teatro, non deve forse fare questo?
"Via Piave mormorava. Un brusio, un vocio. Poi il rumore crebbe. Era abbastanza normale che nel rione babelico si accendessero discussioni, salissero grida, imprecazioni, invettive, o clamori gioiosi. Esplodevano conflitti, razzismi latenti e dissimulati, o espliciti e appena trattenuti, si trattavano accordi, tregue, e fiorivano feste, raduni allegri e giochi e strilli di marciapiede. Continuamente. Quindi Ettore non si sorprese dei rumori che salivano dalla strada nella sera. Stava pensando a Numero, che intanto giocava in terrazza con la capra. Erano stati a Venezia tutto il giorno. Senza capra, ovviamente. A Numero piaceva da pazzi Venezia. La prima volta Ettore ce l’aveva portato perché non aveva idea di dove andare. Venezia era sempre una soluzione. Ci viene il mondo intero, ci sarà bene una ragione, pensava. Non per niente ci avevano messo i bot a filtrare e a contare le folle. Non sapeva bene cosa potesse interessare a un bambino. Immaginava che non fossero chiese, palazzi e gallerie d’arte. Numero, tuttavia, guardava edifici e monumenti con attenzione, entrava curioso nella corte interna di un palazzo o in una chiesa, a naso in su, guardando la volta, i finestroni, la luce che spioveva dentro, l’atmosfera raccolta che invitava al silenzio. Ma era soprattutto la città ad attirarlo. Ci camminava con l’aria di volercisi perdere. Anche a Ettore piaceva fare così, fin da quando ci aveva vissuto per studiare o ci portava le innamorate, e per un momento si immaginò di avergli trasmesso questo gusto nel Dna… "
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