Delicato e corroborante il monologo di Paolini "Tiri in porta"
UDINE - Nel 1964 a Treviso, in via Monte Cengio, c'era un campetto di calcio. Di quelli sgangherati, con le porte di tre metri. Vi sguazzavano gli sbarbatelli del rione. Roba di otto anni o giù di lì. Ciccio Pavan faceva il portiere. Era grasso, molto largo: difficile segnare. Ennio Mosca giocava col cappotto. Non poteva sudare, aveva l'asma. Cesarino, il cocco della maestra, se ne stava fermo, immobile in un angolo piuttosto erboso. Da cui zona "Cesarino". Francolongo era il libero. Indossava una maglia da ciclista. Lo sviluppo correva veloce e la roba dell'anno passato gli era stretta. I gemelli: due, ma contavano per uno, tanto erano piccoli. Piero Matto non era normale. Calciava come un cavallo. Pieretto, detto Nano, correva più veloce del vento. Gianvittorio, il ricco del gruppo. L'unico ad avere il completo da calcio firmato. E Milena? "Che toga la Milena!". Poi c'era Oscar, capitano, centravanti, arbitro e padrone del pallone. Infine Nicola, ovvero Marco Paolini, l'attore che ha incollato le sue figurine della memoria in un album-monologo coloratissimo di sensazioni e sentimenti.
Il teatro Bon, l'altra sera, aveva un'aria triste. "Ridiamoci sopra", terza tappa, aveva in serbo Marco Paolini in "Tiri in porta", scritto assieme a Gabriele Vacis. Pochi avranno associato il nome del comico al più affascinante gruppo teatrale italiano: il Settimo di Torino. Confermando la tendenza udinese a muovere le chiappe solo per il nome che spicca sul cartellone, ben pochi si sono seduti sulle rosse poltroncine. Peccato, si sono persi il più delicato, divertente, coinvolgente, intimistico, corroborante spettacolo one man show di quest'anno. Un quadro da appendere nella nostra collezione più cara.
Paolini non ha fatto altro che raccontarci spiragli di vita di quando al mattino ci si infilava i calzoncini corti, o le gonnelline con bambola al seguito e si sfidava la giornata con il mento alto di chi si sente padrone del mondo. Per le strade, nei campetti con l'erba alle ginocchia a tirar pallonate, a guerreggiare per difendere il territorio, a giocare a "figu" o a tirar "seghe" sotto il ponte, con l'urlo della mamma sempre dietro l'angolo, pronto a cogliere in fragrante le mascalzonate. O la puntuale messinscena del compleanno, che quando spegnevi le candeline "compivi gli anni".
Mentre Paolini rappresentava quell'agglomerato di pesti in balia della strada, dando ad ognuno un preciso connotato vocale ed espressivo, siamo stati inevitabilmente rapiti dal processo mnemonico, sprofondando di una trentina d'anni. Cristo! É questo il teatro che vogliamo, che amiamo, capace di smuovere i nostri rattrappiti sentimenti. Così abituati a rimanere indifferenti di fronte alla consueta rappresentazione spettacolare di una vita imbottita di satira, di falso perbenismo, di voli pindarici sopra il nulla assoluto. Ci vuole fantasia, cari miei! Prendiamo tutta la squadra dei nostri comici. Magari pure bravi, ma pigri, buoni soltanto di guardarsi intorno e, da perfette aspirapolveri, assorbire tutto, sputando fuori la materia in modo distorto, spesso falso, a seconda della tessera infilata nei pantaloni. Guardatevi anche un po' dentro, come ha fatto Marco, forse riuscirete a donarci nuove emozioni. A proposito. Paolini, rimani "puro", incontaminato. Non andare mai in tv!
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