Senza nulla togliere al Galileo di Brecht, quello raccontato da Marco Paolini nel suo ITIS Galileo, a Pordenone per tre esauritissime repliche (oggi alle 16) e domani (alle 20.45) al al Giovanni da Udine e poi a Monfalcone
PORDENONE. Senza nulla togliere al Galileo di Brecht, quello raccontato da Marco Paolini nel suo ITIS Galileo, a Pordenone per tre esauritissime repliche (oggi alle 16) e domani (alle 20.45) al Giovanni da Udine e poi a Monfalcone, unisce didattica e spettacolo in modo esemplare, contemporano: avvince, diverte e fa pensare. Con un copione molto calibrato tra dato informativo e riflessione, tra l’oggettività dei fatti storici e preziose suggestioni emozionali.
In scena, una grande sfera, una sorta di mina pronta a esplodere quando Galileo arriverà alla dimostrazione, grazie al suo cannone occhiale, della teoria copernicana, per rivelare il modellino del sistema solare con i pianeti ruotanti intorno al sole. E un leggio, per alcune brevi incursioni nel teatro shakespeariano, per esempio con un’efficace citazione dall’Amleto in “lingua madre”, vale a dire il veneto reinventato alla Meneghello o per alcuni brani dell’opera di Copernico; e su tutto in gigantografia un brano autografo dal Dialogo sopra i due massimi sistemi.
E poi Paolini, che questa volta ha in un certo senso superato se stesso: non solo affabulatore dal linguaggio ammaliante (un italiano rivificato nel veneto) e dai tempi perfetti, sapiente nel catturare il pubblico anche con qualche battuta comica, ma attore a trecentosessanta gradi che, cappellucio nero in testa e grembiulone di cuoio da garzone di bottega, prende le parti dei personaggi messi in campo, diventa quei personaggi in piena adesione con una trama che è sì di narrazione, ma si accende di tante figure, e poco importa se sono apparentemente piccole: è il peso che rivestono nel racconto e il loro significato anche simbolico, ad avere nell’interpretazione di Paolini un giusto e motivato rilievo. Una scrittura drammaturgica che restituisce l’umanità di Galileo e il valore della sua scienza nel dare finalmente corpo e voce a un comune sentire della sua epoca, stanca delle chiusure dogmatiche del potere religioso e intellettuale.
Il risultato è sorprendente: con la leggerezza di un teatro che è anche intrattenimento ma intelligente, senza proclama alcuno, la figura di Galileo e le sue vicende, ci vengono restituite in tutta la loro innegabile attualità per e in un mondo, come il nostro, così poco incline all’esercizio della critica, del dubbio, della messa in discussione. Non a caso, lo spettacolo, dopo le dolenti note dell’abiura cui lo scienziato fu costretto dal Santo Uffizio, si chiude sull’immagine simbolica ma non troppo di Paolini, che cavalcando la mina sfera, come un barone di Münchhausen dei nostri giorni e sulle note di una coinvolgente versione rock della Quinta di Beethoven, prende il volo inneggiando a Galileo, al suo metodo, alla forza probante e liberatoria dell’errore. Da vedere e rivedere, anche il 25 aprile alle 21 su La 7 in diretta dal tunnel del Gran Sasso.
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