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“Nel tempo degli Dei – Il calzolaio di Ulisse”. Intervista e Photogallery

«Nel tempo degli Dei – Il calzolaio di Ulisse», l’ultimo lavoro di Marco Paolini con la regia di Gabriele Vacis, in scena venerdì 17 e sabato 18 gennaio a Torino, al Teatro Colosseo. Un viaggio tra mondi, spazi temporali che si sovrappongono, poetiche di rara bellezza. Un viaggio necessario da vivere e nel quale lasciarsi andare e lasciare andare.
La co-protagonista, che porta in scena tutte le donne di Ulisse è la straordinaria Saba Anglana, cantante attrice e scrittrice. La sua voce durante lo spettacolo riesce ad attraversare i corpi portandoli nella dimensione dell’astrale, in universi paralleli densi di una magia avvolgente.

Noi l’abbiamo incontrata prima dello spettacolo, ed ecco cosa ci ha raccontato.

Siete a circa cento repliche, cosa è cambiato nello spettacolo, ogni volta è un nuovo inizio?
Dopo cento repliche hai la memoria che è molto salda e quindi non hai preoccupazioni dei vuoti, non ti devi preoccupare di cosa stai dicendo in termini di esattezza della sequenza delle parole. Diventi un canale libero e ti fai attraversare dalla verità di quello che sta succedendo, ti occupi di più di quello che sta succedendo. La mia mia sensazione, è che dopo tutte queste repliche tutto accada veramente, ed è questa la grande magia del teatro.

Parliamo delle donne che porti in scena, cosa c’è di te in ognuna di loro e a quale senti più vicina?
Sicuramente Penelope. È triste dirlo nel senso che c’è una componente di grande pazienza, di grande accettazione, di grande sopportazione, di grande attesa, ma anche di forza spirituale e cerebrale in lei.
Quella a cui vorrei assomigliare di più è Circe, che è una donna che ama liberamente alla pari, è una donna che non ha questa complessità che la rende prigioniera, ma tratta Ulisse appunto alla pari. È molto liberatorio, mettere in scena lei che si diverte, è seduttrice, ma non ha una forma di dipendenza amorosa. Invece, la dipendenza amorosa da cui è afflitta Penelope, che la costringe per vent’anni ad attendere è quasi una vera prigione, in cui si trovano molte donne che amano tantissimo, ed è vero che le donne amano in maniera più profonda e più viscerale.

L’assenza di Ulisse mi riporta subito al tuo libro “Lettera al mio fantasma, piccola epopea dell’assenza” (edizioni Anima Mundi), in particolare all’assenza vissuta da Penelope. Come si cura l’assenza?
Lei era ferma fisicamente in un luogo, però aveva la mente lo spirito che viaggiavano verso Ulisse, mentre Ulisse aveva fermo il suo pensiero e il corpo che viaggiava verso Penelope. Ci sono queste due spinte opposte, ma anche complementari. Nel caso di Penelope lei ha colmato questo vuoto anche fisico attraverso il viaggio dello spirito, che non è in scena, ma c’è nel personaggio di Penelope: l’attività di tessere la tela in realtà è un viaggio spirituale. È un tessere, un costruire, una tensione verso qualcosa, sei fermo fisicamente ma costruisci.
Certo, l’archetipo della donna che attende le sta un po’ stretto, perché in realtà è un personaggio molto più complesso: Penelope in realtà è una donna forte, scaltra. Vent’anni sono troppi, soprattutto quando, sicuramente lei lo sa, il suo Ulisse, ha giaciuto con tantissime altre donne. Quindi è un’assenza che mette molto alla prova.
Lei dal punto di vista spirituale è molto attiva. E tu, il vuoto lo colmi anche attraverso questo.

Ultimo passo prima di salire sul palco, primo passo sul palco: cosa succede?
Nel caso di questo spettacolo c’è una specie di anticamera in scena, una specie di camera di decompressione e di caricamento anche, perché siamo in una sorta di backstage a vista: dietro ad un elemento scenico, siamo visibili e scaldiamo la voce.
In realtà è molto diverso rispetto ai miei concerti: è un po’ di tempo che in questo spettacolo la concentrazione arriva attraverso la voce, io entro in scena scaldando la voce.
Ho iniziato a farlo perché la voce la uso con differenti registri nel parlato e la uso nel canto: ho una grandissima responsabilità e concentrazione sulla voce.
Questi due passi sono una specie di canalizzazione dell’energia, ti fanno entrare in una dimensione completamente diversa: cambia l’andamento del corpo.
Sono passi sacrali, un inizio di esperimento sacro, senti il palco che è un luogo che esige rispetto. Si impone un atteggiamento, una camminata, quindi quei passi sono passi di danza.

Il tour è lungo, hai spazio e tempo per pensare ai tuoi progetti creativi e stai lavorando a qualcosa?
Ci sono state settimane molto impegnative, siamo nella coda di questa lunga tournée, e soprattutto in queste ultime settimane si sovrappongono in maniera costante i pensieri sul dopo. Tutti quanti ci confrontiamo su questo e ci raccontiamo i nostri progetti.
Io ho in cantiere un nuovo disco, un nuovo libro, uno spettacolo teatrale.
Lavoro ce n’è tantissimo, ma ci sono anche tante città così belle, che non ho mai visitato e mi perdo come Pinocchio nel paese dei balocchi. È molto bello perdersi, farsi intrattenere dalla bellezza delle architetture, dai luoghi che non hai visto, dal cibo, dagli amici che trovi in queste città. È talmente bello che diventi dipendente da tutto questo. La dimensione del viaggio e dello spostamento sono molto importanti, quasi una droga per me, ed anche se non scrivo fisicamente, se non metto in cantiere fisicamente qualche cosa, ho la testa pronta e piena di stimoli importanti.

E noi godiamo del tempo sacro dell’attesa, quel tempo che ci separa dalla meravigliosa scoperta dei nuovi progetti che verranno alla luce.
Grazie Saba!

“Nel tempo degli Dei – Il calzolaio di Ulisse” Intervista e Photogallery

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