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Paneacqua – Dall’errore alla Verità: ITIS Galileo

Uno dei maggiori limiti della scuola italiana, e non solo di quella di oggi purtroppo, è di aver insegnato sempre, o quasi, in termini settoriali e a compartimenti stagni. Le materie sono presentate come monadi leibniziane, a sé sufficienti e chiuse a ogni rapporto con le altre discipline. Ma la realtà non è questa.

Anche se, per esempio, Galilei e Shakespeare non si sono mai incontrati (tanto meno nel programmi ministeriali!), comunque vivono nello stesso periodo storico e, volenti e nolenti, fanno parte di una certa temperie culturale della vecchia Europa del XVI e del XVII secolo. Questo uno dei presupposti che muove e organizza l’ultimo spettacolo di Marco Paolini, “ITIS Galileo” in tournee in Italia e in questi giorni all’Argentina di Roma. Spettacolo-monologo, come sempre nel teatro civile di Paolini, che racconta la vicenda umana, innanzi tutto, e scientifica del grande pisano. Paolini segue le tappe della sua: vita dalla nascita a Pisa alla morte nel convento di Arcetri, quasi dieci anni dopo la tristissima abiura compiuta davanti al Tribunale del Sant’Uffizio.

E racconta gli studi fuori da ogni schema dell’epoca pur se condotti presso una regolare Università (ma mai laureato!), le sue straordinarie riflessioni empiriche prima, scientifiche poi, le sue invenzioni, i suoi successi, i suoi amori, le sue sconfitte, i suoi dubbi e, cosa mirabile, i suoi errori. Galileo è, senza tema di smentita, un genio, ma lo è soprattutto per Paolini (ci sentiamo di condividere pienamente) perché non si ferma ai dogmi, tolemaici, aristotelici e tomistici che siano, ma ricerca sempre, rivede, rianalizza, rimette in discussione.

Commette anche errori (Paolini cita a mo’ di esempi o l’inesatta interpretazione sull’origine delle maree), ma non si ferma mai. Fino alla soglia degli ottantenni quando muore, Galileo, pur se cieco, rinchiuso obtorto collo in un convento, disprezzato dalla comunità scientifica, messo al bando dalla Chiesa perché in odor di eresia, Galileo dicevo non si ferma mai. Vuole sapere, vuole capire, vuole indagare, non si accontenta di quello che hanno detto altri prima di lui o a lui contemporanei.

Non crede di essere l’assoluta verità, riconosce ad esempio in Copernico un innovatore e quasi un maestro di pensiero, ma tutto viene riconsiderato, rivisitato, verificato. Dopo Galilei, stigmatizza Paolini, la scienza non è più la stessa, l’errore non è più un delitto, ma una tappa del pensiero dell’uomo.

Anche dall’errore può venire la verità, che non è appannaggio di nessuno, né singolo uomo, né istituzione, politica o ecclesiale che sia! E questa grande riflessione è condotta da Paolini in maniera veramente straordinaria. Affabulatore coinvolgente, grande intrattenitore, propone dati scientifici e storici assolutamente corretti, cita senza approssimazione alcuna teorie, dati, teoremi, riuscendo a coinvolgere il pubblico che per due ore impara, si diverta, e medita. E, non pago del grande omaggio alla figura di Galilei, l’attore-regista inserisce un cameo dedicato alla Commedia dell’Arte, recitato ovviamente in antico veneto, ma con una tale maestria interpretativa e una tale mimica da farsi comprendere perfettamente anche dal pubblico romano, che gli tributa calorosi e affettuosi applausi. Grande uomo di teatro veramente: la sua arte al servizio di un teatro civile, che fa crescere una comunità, che non subisce supinamente un qualunque “Quark” televisivo come Vangelo, ma dialoga, interloquisce e rende uno spettacolo teatrale un momento di riflessione e approfondimento di un tema.

Come già con “Vajont”, lo spettacolo-inchiesta che lo consacrò per la critica e il pubblico, Paolini parte da alcune negatività del quotidiano (l’ignoranza diffusa della scuola di oggi e il dogmatismo imperante della cultura ufficiale, pur se ammantato da libertà e relativismo) per ricondurre pubblico e critica a uno studio diverso e nuovo del passato, cercando di superare l’immanenza soffocante di questo presente ignorante e arrogante. Grazie Paolini!

Maria Pia Monteduro

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