Il rogo di una foresta amazzonica c’entra con l’aumento dei posti nelle terapie intensive. «Paghiamo caro le perturbazioni dell’ambiente». Perchè nella nostra “fabbrica del mondo” tutto è connesso. E il pianeta, ormai, ci sta presentando il conto: Marco Paolini parte da qui, dai troppi errori e dalle tante fragilità di questa “fabbrica” che per millenni ha garantito la sopravvivenza dell’essere umano, ma che ora si è bloccata, e per ripararla servono sforzi sovrumani. «Bisognerebbe correre di più», o meglio, «bisognerebbe smettere di preoccuparsi e occuparsene di più». Partenza con boom di ascolti, sabato 8 gennaio su Raitre (share 5,5% e 1.219.000 spettatori) per il narratore che è tornato sul piccolo schermo con "La fabbrica del mondo", nuova avventura teatrale-televisiva che riflette in modo intelligente e approfondito sul rapporto dell’uomo con l’ambiente.
Girato nella suggestiva fabbrica Marzotto di Valdagno, diretto da Marco Segato (esterni) e Fabio Calvi (studio) e affiancato dallo scienziato-filosofo Telmo Pievanie dai corvi “meccatronici” di Marta Cuscunà, il progetto “La fabbrica del mondo” dosa con cura teatro, cinema, informazione e ricerca, una formula a metà strada tra la divulgazione, l’approfondimento e lo sguardo poetico, che di questi tempi fa bene all’anima in una tv chiassosa, dispersiva e contraddittoria che non aiuta a comprendere.
L’APPROCCIO
Nella prima puntata, “Virus e pipistrelli”, l’artista dialoga con Pievani, ma anche con altri scienziati - Naomi Oreskes, autrice dei potenti “Mercanti di dubbi: come un manipolo di scienziati ha nascosto la verità, dal fumo al riscaldamento globale” e “Perchè fidarsi della scienza”, e David Quammen (“Spillover: l’evoluzione delle pandemie”), e lo scrittore Daniele Zovi ricordando anche la figura del medico senza frontiere Carlo Urbani - per spiegare al pubblico come si sia ormai «rotto il climatizzatore della fabbrica del mondo, ed è una cosa grossa, per rimettere in salute il pianeta stavolta non bastano medici e infermieri». Pescando tra i suoi ricordi di bambino, mettendo mano agli allarmi di oggi, tra virus, i tremendi “wet market”, i batteri e persino Vaia, l’artista si muove nei panni del manutentore Noè che si fa carico di una malatissima Gaia (la cantante Saba Anglana), catapultandoci con ironia sull’orlo dell’abisso. Come possiamo rigenerare la “Fabbrica del mondo”?
LO SGUARDO
Le storie si collegano l’una all’altra, un po’ come la vita nel pianeta: se come disse James Lovelock nella sua “ipotesi Gaia”, la terra ha una propria fisiologia e, come il nostro corpo, può star bene o ammalarsi anche seriamente, forse dovremmo interrogarci di più su cosa sta accadendo attorno a noi. Perché dentro Gaia tutto è connesso, e «le pandemie si legano a deforestazione e cambiamenti climatici». Per salvare un presente che si sta frantumando sotto i nostri occhi, sarebbe necessario immaginare un futuro che non cloni il presente. In quest’era pandemica prevista da tempo dagli scienziati ma sottovalutata da tutti, Paolini e Plevani ci ricordano come la natura faccia sempre pagare gli errori del passato. Vaia insegna. Lo aveva previsto 60 anni fa la storica della biologia Rachel Carson che in “Primavera silenziosa” aveva animato le polemiche sul Ddt e i veleni chimici, attirandosi le ire delle multinazionali. Certo, «la scienza è un processo di apprendimento» come osserva Oreskes, e al suo interno non esistono tabù, fa eco Pievani, «i virus vengono studiati, manipolati, potenziati, ma lo si fa per giocare d’anticipo», per capire cosa accade o può accadere.
LA TERRA
La terra, in fondo, è il pianeta più “strano e improbabile” del sistema solare, proprio perché la vita prolifera dove c’è instabilità. «Ma la vita si evolve insieme la pianeta, e si adatta», proprio come virus e batteri. «Viviamo in un mondo di virus -spiega David Quammen, che andò a caccia di ebola all’interno della foresta africana - la maggior parte è innocua per l’uomo. E questa è ecologia. Ma quando disturbiamo un mondo naturale, distruggiamo una foresta tropicale, quando deforestiamo, costruiamo campi minerari o piantagioni, uccidiamo animali o li mandiamo via, ci esponiamo ai virus che quelle creature portano». Perché Sars e covid sono così famosi? Perché hanno fatto il salto di specie: «È il successo darwiniano del virus e dei batteri». Ma la disuguaglianza sui vaccini, con la metà ricca del mondo che si protegge mentre il resto non può, sarà il grosso problema del futuro: «Perché il virus continuerà a circolare, a mutare, a evolversi, ad adattarsi anche per aggirare i vaccini».
di Chiara Pavan
Questo sito utilizza cookie tecnici, analitici e di terze parti per le sue funzionalità. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui Cookie Policy. Cliccando "Ok" su questo banner o proseguendo nella navigazione del sito acconsenti all'uso dei cookie.
Scegli a quali categorie di cookie dare il consenso. Clicca su "Salva impostazioni cookie" per confermare la tua scelta.
Scegli a quali categorie di cookie dare il consenso. Clicca su "Salva impostazioni cookie" per confermare la tua scelta.
Questo contenuto è bloccato. Per visualizzarlo devi accettare i cookie '%CC%'.