Il giorno della Befana sarà a «Una Montagna di Libri» e sabato andrà in onda su Rai3 (ore 21.45) per la prima delle tre puntate del programma «La Fabbrica del Mondo».
«Ho sentito intorno a questo Capodanno una specie di stanchezza generale. Ho percepito una stanchezza psicologica di chiusura, distanza dalle relazioni che normalmente ci circondano. Ho sentito meno voglia di farsi gli auguri intorno a me, più silenzio. Questo è un sintomo di un momento in cui ciascuno di noi si è in parte rinchiuso». In questo inizio d’anno così strano, Marco Paolini ha due appuntamenti che in qualche modo si legano tra loro e che tentano di dare qualche risposta al senso di malessere che lui stesso ha percepito. Giovedì Paolini sarà a «Una Montagna di libri» a Cortina per l’omaggio a Luigi Meneghello nel centenario della nascita (ore 18 Alexander Girardi Hall) e sabato andrà in onda su Rai 3 alle 21.45 la prima delle tre puntate (tutte a gennaio per tre sabati di seguito) del programma «La Fabbrica del Mondo» prodotto da Jolefilm con Paolini affiancato dal filosofo evoluzionista Telmo Pievani. Tre puntate che esplorano il mondo della scienza a partire dai diciassette obiettivi dell’Agenda 2030.
Paolini, dobbiamo fidarci della scienza?
«Abbiamo posto la domanda a degli scienziati, a una storica della scienza come Naomi Oreskes, perché la sua autorità in campo internazionale rispetto alla storia della scienza nel ventesimo secolo e a cavallo del ventunesimo è indiscussa. Lei che si è occupata dell’industria del tabacco negli Usa e di quella del petrolio, ci dice che ci conviene fidarci della scienza perché, anche se non è mai neutra del tutto perché le persone ch ne fanno parte sono sottoposte allo stesso tipo di pressioni di altri sistemi, nel complesso è un sistema che tende a rimuovere pian piano, magari non sempre alla velocità necessaria, gli ostacoli alla verità, perché è basata sugli esperimenti. Le affermazioni degli scienziati vengono verificate e accettate da una larga comunità di persone che hanno competenza».
Una trasmissione dedicata alla scienza in un momento in cui la scienza è sottoposta a diverse pressioni.
«La questione della pandemia è un esempio di quelli in cui troppe voci di scienziati hanno parlato contemporaneamente esprimendo troppe voci. Quando questo dibattito attraverso la rete e i giornali viene riversato a tutta la platea che non ha strumenti e deve fare atto di fede, si generano dei partiti di persone che si affezionano a un’idea e non dispongono del metodo del dubbio e delle prove».
Nella trasmissione si parlerà di impatto ambientale, transizione energetica, disastri ecologici, rapporto con la natura. Una tema che ci ricollega a Meneghello e al suo «Libera nos a Malo».
«Meneghello racconta un piccolo mondo antico nel quale è facile specchiarsi. Ci si specchiano anche i non veneti. La Malo di Meneghello è una “piccola patria” nella quale io so per esperienza che lettori di ogni regione d’Italia hanno riconosciuto la propria storia, radice, modi di fare. È molto attuale? Sì. Perché se invece di lanciare tutto nella dimensione della memoria e del passato, pensiamo che il soggetto che può occuparsi del futuro non è il singolo, l’io, e non è lo Stato, il “pubblico” perché è troppo lontano da noi, ma la comunità, questo ci avvicina alla comunità raccontata da Meneghello. Sto pensando alla gestione dei beni comuni, alla transizione ecologica, alle reti che sono sicuramente efficaci ma non possono combattere la solitudine. È dimostrato che comunità troppo grandi non motivano, non combattono le solitudini, perché più siamo consapevoli e meno siamo capaci di agire perché ci sentiamo piccoli e inetti. Il mondo di Meneghello è un mondo in cui esiste un centro e fuori da quel centro esiste un mondo rurale, arcaico. È indubbio che il centro è un mondo di sviluppo di pensieri nuovi, più eccitanti, ma questo pensiero lo abbiamo portato all’ennesima potenza e la mia generazione è la maggiore responsabile della distruzione del mondo rurale».
A «Una Montagna di Libri» a Cortina parlerà di Meneghello, cosa ricorda dell’incontro avuto per i «Ritratti» fatto con Mazzacurati?
«Ricordo che amava leggere le sue pagine, interrompeva spesso il discorso, andava in cerca di un libro, perché quella cosa l’aveva scritta e si ricordava dove. Era piuttosto veloce e perché andava a leggere la cosa? Perché per lui le pasrol erano importanti, su quelle parole aveva pensato, ci ritornava in una specie di libro vivente. Io sono all’opposto, io amo moltissimo provare a ricostruire ogni volta le cose con le parole sul palcoscenico, non sono fedele mai al 100 per cento al copione, provo a lavorare di sostituzione. Io sono il guitto, lui era un pittore».
06
di Sara D'Ascenzo
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