ROMA Ci sarà un muro di container, per ricordare il ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino, alle spalle di Marco Paolini, nella diretta del 9 novembre su La7 (ore 21.30) dal porto di Taranto, per un altro evento straordinario e live dell'attore-autore veneto che racconterà fatti di economia, identità e mercato attraverso il suo spettacolo-ballata “Miserabili. Io e Margaret Thatcher”, con la musica dei Mercanti di Liquore. Taranto è stata scelta come porta d' Oriente e per l' ingresso il pubblico (anche per l' anteprima dell' 8) dovrà seguire le istruzioni su www.marcopaolini.info.
«Ho rimesso in piedi questo lavoro mai finito, ho sperimentato nuove tappe come quella a Scampia e la crisi economica m' ha spinto a rielaborare alcune parti senza voler dare l'impressione che cavalco una tigre. La gente sa, è consapevole da sola di quello che sta accadendo nell'economia. Ma non si finisce mai d'essere aggiornati in tema di acceleratori che riguardano la miseria, la paura, la violenza, l'omofobia, il nazismo strisciante. Con uno sguardo utile alle nostre spalle: Victor Hugo che parlava di padri che prostituiscono le figlie anticipò Marx di cinque anni».
Come sempre, il teatro di Paolini non è targato, è perentoriamente rivolto a tutti. «Come si fa a distinguere, nella massa di persone che lottano per non sommergere? La cosa peggiore è che in questa radicale spinta in basso causata dalle leggi della giungla, vengono spinte ciecamente in su le élite economiche». In questo scenario c' è - lui dirà in scena e dice a noi- un rischio fortissimo, una demagogia insopportabile. «Ci viene raccomandato d'avere uno stile di vita, quasi una spinta filosofale alla Sant'Agostino o all' Aristotele, alla Platone. Succede che alcune persone designano (o disegnano) come stilisti quale debba essere la nostra esistenza ideale. C'è però il fatto che in sostanza questo stile di vita è la miseria, mentre non vengono risolti i problemi dell'intolleranza, non si organizza un futuro condiviso. E allora tutto questo somiglia a un'allegra fotografia critica». E qui Paolini, nel suo “Miserabili” che in tv parlerà a un'audience ampia e nazionale, gioca la carta di una risorsa. «Io parlo e parlerò di speranza, non come mezzo ma come fine. L'elezione di Obama, al di là delle capacità dell'uomo che sono ancora esaurientemente da dimostrare, non è un'illusione: mi piace che si creda che si possa fare. Non alludo ai facili entusiasmi, al Superenalotto. Se scambi la fortuna con la statistica dai alla tua vita un ruolo pericoloso, ma la speranza è altro, è leggerezza, è fare cose non da soli, è rimanere a parlare, è costruire malgrado la precarietà, è igiene mentale».
La scelta del porto, della città di Taranto, come sfondo dello spettacolo ha un suo senso. «Non per mettere l'accento su un luogo inquinato, ma per un gesto di stima e di attenzione per il Sud, per essere davanti all'Ilva, per raccontare di quando le frontiere erano frontiere. Poi, non è stata la democrazia a buttar giù il Muro di Berlino, ma il mercato, la circolazione delle merci. E ho scelto di fare spettacolo senza chiamare in causa il Presidente del Consiglio, perché non inseguo un referendum di gradimento. Ho pensato che la miseria che abbiamo davanti ha bisogno di sforzi anche di persone che non la pensano come me. È con la speranza, in senso aggregativo e non populistico, che si costruisce una società. Se la crisi toglie di mezzo posti di lavoro e dopolavoro, ci si unisce nel calcio o nei centri sociali di segno opposto. È normale. Lo diceva anche Pasolini: c'è un'età della vita in cui il confine tra maestro buono e cattivo è sottile».
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