Quello andato in scena allo Strehler fino al 10 dicembre non sembra essere semplicemente uno spettacolo, ma il primo tassello di un progetto più vasto. Le avventure di Numero Primo, scritto dallo stesso Marco Paolini con Gianfranco Bettin, di cui è uscito anche il libro edito da Einaudi, affronta un filone, quello della fantascienza, o meglio ancora di una possibile fantasocietà, in cui il futuro sembra già essere un plausibile presente grazie alla forza comunicativa del teatro di narrazione, che appaia il reale con le descrizioni fantastiche di un’evoluzione inquietante e al contempo credibile.
Numero Primo è il nome con cui preferisce essere chiamato Nicola, il figlio di madre incerta che Ettore, il protagonista della narrazione, ha adottato via internet. Un soggetto dai poteri strani, in un mondo che pare essere costruito sulle dismissioni come da un possibile sviluppo dell’oggi, con il polo petrolchimico di Porto Marghera trasformato in un immenso complesso di fabbricazione di neve e ghiaccio “nucleare”, e Gardaland divenuta una metropoli del divertimento, in una società sempre più multietnica dove le guerre culturali sembrano avere il sopravvento.
La giostra è proprio l’incipit da cui prende inizio la relazione tra Ettore e il figlio, in fondo emulo di un gioco serio che vede nell’uomo la pedina di un meccanismo più ampio. Colpi di scena, vite virtuali antropomorfe o faunesche, spy story con tanto di Service dagli obiettivi ambigui si susseguono nella narrazione fino al colpo di scena finale, un vero racconto epico del futuro che pone gli interrogativi sulle relazioni tra l’umanità e la tecnologia, la nostra inadeguatezza rispetto lo sviluppo biologico e fisico e, di contro, la sopravvivenza del sentimento sopra ogni modello o schema.
Paolini intrattiene il pubblico in un monologo di due ore, dove l’inquietudine nell’identificarci nelle vicende di un Blade Runner del Triveneto viene comunque accarezzata dalla speranza di una salvezza, con l’uomo che ritrova la sua natura al di là di qualsiasi esperimento genetico. In fondo anche Dick si chiedeva nel titolo originale del suo capolavoro se gli androidi sognassero pecore elettriche, affermando di fatto una loro potenzialità onirica. E laddove esiste il sogno, la scintilla della vita trova sempre l’humus per manifestare la sua presenza.
Giudizio: ***
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