Al Teatro Nuovo di Napoli, dal 9 al 13 novembre, l’incontro fantascientifico tra le prospettive tecnologiche future e l’abilità oratoria del “narrattore” veneto.
Parlare di fantascienza a teatro non è una cosa facile, ma Marco Paolini lo fa con la maestria a cui siamo abituati, condividendo con il pubblico del Teatro Nuovo di Napoli il suo ultimo immaginifico testo teatrale – Numero Primo – scritto insieme a Gianfranco Bettin, prima parte di una nuova stagione di quegli Album, ovvero racconti teatrali, con cui l’abile narratore ha raccontato l’Italia e gli eventi accaduti tra il 1964 e 1984 attraverso le vicende personali di Nicola, una sorta di alter ego.
Protagonista di questo nuovo Album è, invece, un insolito bambino di circa cinque anni (il cui nome è appunto Numero Primo), che pian piano ci viene svelato attraverso gli occhi e i racconti di Ettore, il padre adottivo a cui una madre non ben definita lo ha affidato, scegliendolo soprattutto per la sua capacità di saper discernere con occhio critico ciò che è buono in ogni situazione, ovvero – alludendo al suo lavoro – per saper fare buone fotografie.
Già nel 2014 Paolini aveva portato egregiamente in scena la scienza moderna raccontandoci di Galileo (qui la recensione), del suo mondo e delle sue scoperte per svelarci la nascita del metodo scientifico e introdurci nei diversi settori della scienza con il suo affascinante linguaggio teatrale, ora è la tecnologia e il suo impatto nelle nostre vite il nuovo oggetto di indagine. Ma vista la maggiore complessità dell’argomento, ad introdurre lo spettacolo alla platea di immigrati tecnologici, più o meno consapevoli, è proprio lui in persona che, a luci accese, ci interroga sulla nostra concezione di tecnologia e sul nostro essere tecnologici seguendo il filo di un “file” cartaceo di appunti.
Cosa è la tecnologia? Quanto siamo ben disposti verso il progresso tecnologico? E ancora – come Paolini efficacemente riassume – è timore o fiducia quella che ci coglie procedendo verso la barra del telepass al casello autostradale?
Anche questa volta il lavoro dell’autore e regista veneto si materializza nel ri-costruire fatti cercando di renderli più fruibili e comprensibili, ma soprattutto ricavandone (per poi trasmetterla) un’emozione; in questo specifico caso, però, non si parte da eventi trascorsi come la tragedia del Vajont e di Ustica, o la campagna in Russia della seconda guerra mondiale, oppure la storia industriale di Porto Marghera, ma da nozioni tratte da libri e testi scientifici, dalle innovazioni e conquiste tecnologiche più recenti che vengono immaginate come concrete in una futuribile realtà.
A tal proposito ci vengono alla mente le parole del sociologo Vincenzo Moretti che da anni si occupa di lavoro ben fatto e uso consapevole delle tecnologie: “Le tecnologie sono da sempre – fin dai primi utensili ricavati da pietre, legno e parti animali – strumenti imprescindibili dell’evoluzione e dello sviluppo umano, e in quanto tali non sono né buone e né cattive, è il modo in cui le usiamo a determinare di volta in volta le loro qualità”: è infatti dall’analisi dei progressi che si sono avuti negli ultimi anni quanto sia ormai sempre più evidente che il limite della tecnologia non è di tipo tecnico, ma etico e morale. Basti pensare che nell’attuale conflitto in Iraq sono stati usati droni per attacchi mirati, che è stato clonato un mammifero, che gli alimenti vengono modificati geneticamente, o che è stato mappato il genoma umano. Dunque, ciò a cui l’uomo con la sua intelligenza può arrivare costruendo sofisticati strumenti e algoritmi di apprendimento automatico è sempre più incredibile, ma ciò che la mente è in grado di accettare come normale non procede di pari passo: è giusto affidare ad un’intelligenza artificiale la gestione di conflitti armati, è lecito copiare un essere vivente o modificare le piante per renderle più resistenti e nutrienti, è ammissibile consultare e modificare il genoma umano operando di fatto una selezione?
Definire cosa è giusto o sbagliato così come stabilire i limiti di azione in base ai progressi scientifici-tecnologici, è un problema che deve essere considerato da diversi punti di vista – morali, etici e filosofici – ma sempre deve presupporre una profonda conoscenza degli aspetti scientifici, ingegneristici, biologici. Sollevare, allora, il problema, invitarci a riflettere stuzzicati da domande e dalle suggestioni generate da un fantascientifico racconto, è il compito che si assume Paolini con questo spettacolo. E pur non essendo un tecnico – storico, scienziato o giornalista – la sua grande abilità di narratore, insieme all’attento e preciso studio di preparazione che ogni volta conduce e al lavoro di squadra che sottende ciascuna prova, gli permettono di rendere credibili cose che oggi sembrano inverosimili puntando al riflesso emotivo che comportano.
Del resto, la presenza dell’high-tech nella nostra quotidianità, e soprattutto nell’ambito medico, occuperà uno spazio sempre più massiccio nei prossimi anni, e la medicina di precisione bioelettronica e quella predittiva – che ci permetterà di stabilire con precisione il profilo genetico di un figlio – potranno potenzialmente portare a generare essere umani costruiti su misura secondo degli standard che man mano si definiranno.
Quella che adesso sembra fantascienza, pertanto, è in realtà molto più vicina di quanto pensiamo. Numero Primo potrebbe essere un nostro nipote, siamo pronti ad accoglierlo? Siamo anche noi dei buoni fotografi in grado di capire quale è la prospettiva migliore con cui guardare in modo critico ma non ostile il progredire della tecnologia nella nostra vita? Siamo davvero così preparati per vivere nel futuro? Allo spettatore di Numero Primo il compito di informarsi, aggiornarsi e trovare dentro se stesso la risposta.
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