Il teatro di Marco Paolini
Questa sera tocca a Marco Paolini percorrere le "Strade maestre" di Koreja al Teatro Paisiello di Lecce: "Aprile 74 e 5" è il titolo dello spettacolo, il quarto della serie "Album" iniziata dieci anni fa con "Adriatico".
Paolini torna, quindi, sulle nostre scene con Nicola, Gianvittorio, Ciccio ecc., gli stessi personaggi con i quali si è ritagliato uno spazio del tutto personale reinventando un teatro fatto di racconti, autobiografici e non; patrimonio generazionale condivisibile da tutti quando si intreccia con la Storia, con gli avvenimenti che hanno segnato l'Italia degli ultimi trent'anni.
"Aprile 74 e 5", in particolare, torna sugli "Album" dopo "Il racconto del Vajont", una della esperienze più significative ed emozionanti di Marco Paolini, che ripercorreva in teatro quasi didatticamente (ma col dito ben puntato sulle coscienze) le circostanze di una sciagura sulle cui responsabilità non si è mai fatto luce a sufficienza.
E, del resto, "Aprile" è anche quella pagina di ricordi che rimanda agli anni di piombo, alla strage di Piazza della Loggia e a quella dell'Italicus: Nicola e compagni non sono più i ragazzini di "Tiri in porta" e Don Tarcisio non è più il prete "open mind" che insegna una religione non bigotta che, anzi, è stato sospeso "a divinis" al Vaticano per essersi schierato coi "no" all'abrogazione della legge sul divorzio.
In scena ci sono i fragori delle deflagrazioni (quella della bomba di Brescia è la registrazione originale dell'epoca), e il tramestio del rugby che Nicola gioca insieme agli altri e attraverso cui trasforma la vita in una partita dove c'è da lottare imparando a rispettare gli avversari. E poi ci sono l'onnipresente nebbia (caligo), gli immancabili eskimo (quello di Nicola è blu: l'unico del colore sbagliato in tutta la città), e tanti altri ricordi perché Marco sa bene che alla propria memoria non si deve sfuggire. Il suo stare in scena si nutre proprio di questa necessità, dell'impegno di non disperdere ciò che si è stratificato nelle coscienze e che troppo spesso viene derubricato storicamente perché scomodo, vergognoso. Ma c'è di più. C'è l'ironia, la capacità di rileggere i tic e le nevrosi, di scandagliare gli slogan trasformandoli in versi e, in questo modo, i ricordi diventano teatro che, nel caso di Paolini, non è mai monologo. Anche in "Aprile 74 e 5", come nei precedenti "Album" e in "Vajont", Marco è l'unico in scena (ed è accompagnato dalle musiche di Gaultiero Bertelli, eseguite dal vivo) ma non è da solo: gli si assiepano attorno per cento minuti tutti i personaggi che fluiscono dalla sua mimica. E a mano a mano che il racconto riempie il palcoscenico, i ricordi si caratterizzano, vengono condivisi da chi assiste per trasformarsi, finalmente, in memoria collettiva.
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