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Quotidiano di Lecce – L’infanzia ritrovata attraverso il sorriso dei ricordi collettivi

A Lecce gli applauditi "Tiri in porta" di Paolini

LECCE - Sono bastati due calci ad un pallone per trasformare il Castello di Carlo V a Lecce in un campetto di periferia. Artefice del sortilegio Marco Paolini, il Peter Pan del Teatro Settimo di Torino, accompagnato dalla sua voce e da un bagaglio ideale di ricordi che rievocano un'infanzia alla quale tutti più o meno abbiamo corrisposto il nostro contributo di piccoli dolori e gioie mozzafiato.

"Tiri in porta" è tutto qui: qualche pallone finisce in rete ma qualche altro va a frantumare i vetri di una finestra del cortile e allora cominciano i guai. Sono i primi approcci con la vita destinati a diventare esperienze quando i cocci non si riaggiustano e dai pasticci non ci si cava più con un frustrante rimprovero senza conseguenze.

A Marco Paolini la lezione ha fruttato i suoi "Album", tre spettacoli (di cui "Tiri in porta" costituisce il secondo segmento) scritti col fiato sospeso di chi racconta un sogno ancora ben impresso nella mente. Ed ecco materializzarsi sulla scena il Gian Vittorio col completino da calcio nuovo nuovo, la Milena dagli occhietti già ammiccanti e Piero-matto pronto a guastar la festa a tutti gli altri descritti da Nicola (Marco Paolini) per il quale gli anni si compiono solo dopo aver spento le candeline e proprio alla sua festa scopre che la presenza femminile di Milena è destinata a scatenare la competizione dei suoi compagni. Da qui tutta una serie di avventure e giochi da cui affiorano le piccole manie e le nevrosi infantili che consentono al monologo di Paolini l'astrazione autobiografica: nel suo racconto le vicende personali finiscono per farsi memoria comune e ci si sorprende a divertirsi e commuoversi proprio come capita sfogliando un album di foto ingiallite.

Per questo "Tiri in porta" non è, né vuole essere, uno spettacolo comico. L'umorismo è l'effetto - non la causa - naturale di quella partecipazione a cui si è indotti dalla manipolazione di un ironia fanciullesca che solo superficialmente potrebbe definirsi ingenuità. Così il distacco apparentemente cinico dei compagni che giocano a figurine davanti al sagrato della chiesa dove si sta svolgendo il funerale dell'amico Oscar (annegato proprio durante una delle birbonate del gruppo) diventa momento di più appropriata celebrazione che non ha niente a che spartire coi riti dei "grandi" ma, anzi, trasforma nella gioia-consuetudine del gioco, un dolore che altrimenti sarebbe troppo doloroso sopportare.

Paolini ha aperto la sua valigia delle meraviglie con la simpatia e la comunicativa che lo contraddistinguono. La sua capacità di coinvolgere il pubblico con tanta naturalezza poggia sulle solide basi degli insegnamenti di Grotowski ed Eugenio Barba nonché sull'esperienza maturata insieme al regista Gabriele Vacis negli spettacoli del Laboratorio Teatro Settimo. Non stupisce quindi - ma sorprende - il vederlo "regredire" all'età evolutiva nonostante la barbetta e i capelli non propriamente folti.

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