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Roma c’è – I Miserabili di Paolini

Marcano ancora dieci minuti all'inizio dello spettacolo. Tuttavia, mentre prendiamo posto in sala, ci accorgiamo che lui è già lì, in mezzo al pubblico: parla di soldi e carrelli della spesa, di economia e finanza, di borse crollate e crisi planetarie, di pasta, caffè e carta da forno. Cammina lento tra le poltrone della platea, tirandoci dentro il discorso con suadente simpatia. Ci anticipa - a mo' di prologo - gli argomenti di cui tratterrà nelle due ore successive: "su una cosa sono tutti d'accordo: nel sistema economico attuale, per ogni soldo fabbricato, ce ne sono almeno quattro scommessi sopra. In pratica, un bicchiere di birra con un solo dito di birra e quattro di schiuma". Ci coinvolge, con deliberata disinvoltura, in una discussione/riflessione sull'oggi dai contenuti chiari ma dalla forma un po' nebulosa. Comizio? Lezione? Affresco sociale? Cabaret a tinte acide? Forse questo "Miserabili. Io e Margaret Thatcher" che Marco Paolini ha scritto insieme ad Andrea Bajani, Lorenzo Monguzzi, Michela Signori e, per la parte musicale, i Mercanti di Liquore (presenti in scena ed esecutori live di numerose canzoni) vuole essere, più semplicemente, un work in progress soggetto alle variabili della cronaca così come a quelle della relazione performer/spettatori: un collage di eventi dell'ultima ora modulato, tra commedia e tragedia, sulla tecnica della narrazione. D'altronde Paolini (classe '56) viene da lì: dal teatro civile, dall'impegno profuso nella denuncia politica (basti ricordare i successi "II racconto del Vajont" del '93 0"I - Tigi. Racconto per Ustica" del 2000), ma il suo passato artistico si nutre anche di quella leggerezza visionaria e curiosa rintracciabile negli "Album". Ed è proprio dagli "Album" - autobiografia collettiva di un popolo, il nostro, troppo spesso immemore della sua stessa Storia - che vale la pena ripartire per accostarsi a quest'ultima fatica dell'atto/autore veneto. Qui non c'è infatti la profondità del Paolini smascheratore di scandali e misfatti. C'è semmai il Paolini viaggiatore: nel passato, nella geografia, nelle ideologie, nelle passioni umane. Già il titolo, con gli espliciti richiami al romanzo di Hugo ("i miserabili non sono i poveri bensì quelli che hanno un destino segnato") e alla premier di ferro che ha sbriciolato il concetto di "società" per imporre la tirannia del "privato", è una mappa di suggestioni lontane eppure non così estranee. Perché sul lungo tavolo rettangolare che occupa la scena c'è spazio per domande che riguardano proprio tutti. E allora va bene ricordare Marx, la Belle Epoque, la seconda rivoluzione industriale, i "pitocchí" di ieri e di oggi, il lavoro interinale. Va bene, tanto più, puntare l'indice contro quell'economia canaglia nella cui bolla siamo rovinosamente precipitati. A tratti il testo risulta ripetitivo. A tratti le avvolgenti ballate dei Mercanti di Liquore suonano un po' forzate. Si avverte, insomma, che Paolini sta cercando una nuova strada espressiva; che è disposto anche a correre il rischio di allontanarsi dalla serietà documentaristica delle orazioni civili vecchia maniera per favorire la levità, l'ironia, la composizione a macchie, l'innesto tra parola e musica. E il pubblico applaude, ride, partecipa. Il che, di questi tempi, ci sembra già molto.

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