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Sette – Emilia Mazzacurati: «IL DOLORE PER MIO PADRE E MIO NONNO: RACCONTARE LA FAMIGLIA È UN’OSSESSIONE»

Figlia del regista Carlo, scomparso quando lei, 27enne, aveva solo 18 anni, è al primo film: Billy. Molto del protagonista, un adolescente solitario, la riguarda: «Io a quell'età ero una sociopatica, leggevo libri e vedevo film tutta la notte con mio papà malato di insonnia»

di Enrico Caiano

La generazione Z tanto bistrattata e finita con mille ragioni a protestare in tenda potrebbe farne una sua eroina, ammesso che degli eroi importi ancora qualcosa. Di certo Emilia Mazzacurati, 27 anni, regista al  primo lungometraggio con Billy (produzione Jolefilm con Rai Cinema, nelle sale dal 1° giugno) ha la stoffa carismatica di quelli che emergono con naturalezza e sanno raccontare la propria generazione con poche pennellate. Non è roba da tutti. Sentirla squadernare il suo curriculum con cadenza padovana piana e modesta fa bene al cuore: laurea in Storia dell'Arte a Ca' Foscari, due anni di Scuola Holden a Torino con
diploma in sceneggiatura, un racconto dì narrativa che diventa dopo qualche mese un cortometraggio sul grande schermo con il titolo Manica a vento e ora addirittura il primo film con tuffi i crismi.

«Volevo scrivere un altro corto — quasi si giustifica con tono disarmante — che poi si è trasformato in un lungo. Ero l'ultima a crederci ma poi era diventato veramente troppo lungo. E allora...». Corto, lungo: come parlasse di un cambio di vestiti. Anche se non pare proprio la tipa che parla di vestiti e andando avanti ad ascoltarla lo si capirà bene. Infatti subito piazza un altro tipo di metafora: «È come quando ti innamori: c'è un momento in cui capisci che la storia è quella h e non ci si può fare più niente». Il passaggio all'amore per il cinema è immediato e ci spiega perché, oggi, I'ltalia si ritrova con una nuova regista di cui sentiremo parlare sicuramente nei prossimi anni. Tutto nasce dal rapporto simbiotico con papà Carlo Mazzacurati, che la vita le ha portato via quando avevano lei appena 18 anni e lui appena 57.

«Sin da piccola ci siamo guardati con lui centomila film, non dormivamo mai: lui perché soffriva di insonnia, io perché dormo ad orari da vergognarsi e ho la notte come mio momento migliore, ne sanno
qualcosa le persone con cui ho girato il film e che mi hanno detestato per questo... Giravamo notti su notti». Il rapporto con papà, che guarda caso debuttò nel 1987 con un film dal titolo Notte italiana, «era
molto stretto». Perderlo così giovane l'ha sicuramente segnata. E quel sentimento autobiografico di perdita «nascosto come una polpetta avvelenata», dice lei — e con leggerezza ti mette i brividi — lo si trova in Billy: «Ho voluto trasmettere il senso dell'andarsene cercando di suggerire che possa diventare un nuovo inizio. Ho provato a vederla così».

Nel cuore di Emilia c'è sempre stato anche il nonno paterno Giovanni, l'ingegnere Mazzacurati, considerato dai magistrati all'origine del sistema tangenti del Mose di Venezia, che patteggiò con la giustizia e sparì in California dove è morto a 87 anni nel 2019, cinque dopo il figlio. Si sente che Emilia soffre a parlarne, non si trattiene e lo dice: «Avevamo un bellissimo rapporto io e lui ma quello che è successo ha fatto sì che non potessimo continuare ad averlo. È stata una situazione che ha provocato moltissimo dolore nella mia famiglia, è stato un periodo terribile della mia vita». E delle possibili influenze di questa ferita familiare sulla malattia del padre proprio non se la sente di ragionare. Riconosce che mamma Marina Zangirolami, anche lei nel cinema e anima della scuola Carlo Mazzacurati di  Sceneggiatura: «Una persona equilibrata e ce n'era bisogno a casa. È la mia fortuna assoluta».

Meglio tornare ai tanti giovani protagonisti del suo film e alla voglia di famiglia che Billy esprime in ogni fotogramma: «Sì, i rapporti di famiglia sono una mia passione da sempre». Definisce la sua storia «un coming of age al contrario perché i piccoli sono più sicuri dei grandi. Loro hanno fiducia nella vita. Gli adolescenti invece la perdono e gli adulti l'hanno persa da un po'». Le interessa «l'energia repressa che i piccoli del film hanno» e che vede nella sua generazione ma ancor più nei 18enni di oggi. C'è molta Emilia dentro l'adolescente Billy, il protagonista del film che interiorizza tutto. Lei parla di una sua adolescenza «sociopatica e saltata a pie' pari perché io vedevo film e leggevo libri». Sta su Instagram ma quasi non se ne ricorda, ci va così poco. Dice di sapere tutto di tutto della vita dei suoi coetanei che lei non vive. E però confessa che di rapper proprio non mastica e che «i social mi fanno molta impressione». Ma non credetela una snob: «Non sono una di quelle che dicono di non avere la televisione. Ce l'ho e la guardo tutta, ho tutte le piattaforme e adoro le serie tv». Il cuore però sta da altre parti. Per fare il suo film ha pensato «alle immagini di Luigi Ghirri, il fotografo» butta lì timida, incredula quasi come noi a sentirlo. E poi parte con i modelli a cui si è ispirata: C'è Stand by Me ma — attenti — pure American Graffiti, anno 1973, «solo che quello si svolgeva tutto su mezzi di trasporto in movimento e Billy è tutto su mezzi di trasporto fermi: roulotte, casa sull'acqua...». Capito? Ma ecco i riferimenti culturali da cui è scaturito Billy: Kent Haruf e le sue Anime di notte per le solitudini della provincia, Salinger, Hemingway e i 49 racconti. E poi, in generale ama «i western, John Huston, Paul Thomas Anderson, Altman, i Coen, Fellini, De Sica, Scola, Moretti». Una donna del `9oo, di provincia «grigia e nebbiosa » e felice di esserlo, ma nel corpo di una 27enne: Emilia Mazzacurati, regista.

 
 

 
 

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