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The Italian Banker, di Alessandro Rossetto

Storia del crack finanziario che ha coinvolto centinaia di consumatori nella provincia vicentina con il fallimento della Banca Popolare del NordEst. Tratto da uno spettacolo teatrale.

In una faraonica villa palladiana della provincia vicentina viene messa in scena una festa esclusiva, una lussuosa cerimonia tra i maggiori imprenditori del posto, sull’orlo della bancarotta a causa del crack della Banca Popolare del NordEst. Tutto in una notte, tra balli e frustrazioni, incontri e intrecci amorosi, scontri e tensioni incontrollabili, fino al tragico epilogo, quando si presenterà tra gli inviati anche l’ex presidente della Banca incriminata, pronto a raccontare la sua verità ai disperati presenti.

Tratto dalla storia vera, legata al crollo finanziario di Wall Street che ha provocato il collasso di tante piccole banche, il film è una trasposizione dell’opera teatrale Una banca popolare di Romolo Bugaro, sceneggiatore insieme ad Alessandro Rossetto e ancora una volta collaboratore stretto del regista, dopo le sue prime due precedenti opere di finzione. A proposito del passato, Alessandro Rossetto sta segnando un solco ben preciso sul suo cammino di autore, che al sottoscritto piace molto, soprattutto dopo averlo “scoperto” alla sua seconda regia, Effetto Domino del 2019, che seguiva Piccola Patria del 2013. Stavolta Luis Buñuel non può restare innominabile perché è alquanto evidente il richiamo espressivo e narrativo, a parte qualsiasi altra influenza stilistica nostrana, anche sull’utilizzo del bianco e nero in una vicenda di decadenza umana.

Traiettorie di ascese e fallimenti che Alessandro Rossetto sa davvero tracciare, con un fare non propriamente canonico. È davvero un autore necessario quindi, ancora di più, nella sua grande capacità di raccontare per immagini, sempre cariche di umanità, ma allo stesso tempo di folgorante astrattezza impalpabile, un fenomeno unico del nostro territorio: l’incompiutezza dello sguardo sulle rovine dell’uomo e sulla rigida e miserabile condizione umana. Rossetto, come pochi in Italia, trova nell’incompiutezza stavolta di luoghi dell’abbondanza, una condizione di feconda apertura, verso cui il cinema, e probabilmente qualsiasi altra espressione artistica, dovrebbe aspirare. Potrebbe essere tacciato di manierismo o addirittura di inconcludente prosopopea, ma è proprio in quell’apparente girare a vuoto che il nostro sguardo trova una traccia da seguire, un proprio percorso da difendere dagli attacchi della sorda collettività. “Cose al posto di altre cose”, le cose vengono danneggiate in proporzione al loro valore.

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