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Un Paolini operaio al lavoro sui rapporti tra esseri umani e pianeta Terra

“La fabbrica del mondo” indaga sulle crisi ambientali. La prima puntata è dedicata ai pipistrelli e al virus.

ROMA. Una domanda (“Come facciamo a rigenerare la natura?”) è fra i punti di partenza di “La fabbrica del mondo”.

Un viaggio in tre puntate, al via domani 8 gennaio alle 21.45 su Rai3, tra narrazione, scienza, teatro, riflessione e attualità, con il quale Marco Paolini, qui insieme allo scienziato evoluzionista Telmo Pievani, ci immerge nel presente del nostro pianeta e ci guida in un percorso originale e potente di conoscenza, rifiuto della rassegnazione e possibilità collettiva di azione, tra crisi ambientali, pensiero ecologico e rapporto con un mondo che sta affrontando una pandemia. «Insieme a Telmo, che ha una straordinaria capacità di sintesi su materie complesse, abbiamo ragionato sulla contemporaneità e sul momento che stiamo vivendo – spiega Paolini – è venuta l’idea di “La fabbrica del mondo” e l’abbiamo proposta a Rai».

È un progetto «con cui esploriamo i punti dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Abbiamo registrato alla fine di settembre, prima della Cop26, ma avevamo già il quadro di una situazione in divenire preoccupante. Mettere in una prospettiva di storia le cose serve ad allontanarle dall’irascibilità che provoca l’agenda giornalistica. L’argomento è talmente serio che non è più attuale per i media se Greta Thunberg non si mette a strillare “bla bla bla”. Allo stesso modo un’enciclica di papa Francesco può servire a richiamare l’attenzione dei titoli per una giornata, ma da sola non basta. Questo è il pensiero de “La Fabbrica del mondo” (prodotto da Jolefilm con la regia di Marco Segato e Fabio Calvi), provare a vedere se attraverso un linguaggio che è finzione dichiarata, come il teatro, si arriva a parlare di realtà, aggirando la questione frontale delle fake news, che le persone si portano dietro».

Il senso del programma è che «siamo in un luogo che noi consideriamo casa: noi lo chiamiamo fabbrica perché è il risultato di tutte le azioni che facciamo. Gli esseri umani hanno raggiunto grazie alla tecnologia, dei livelli di azione che ci fanno associare a una delle forze naturali, il vento, l’acqua, la grandine o ai mega disastri climatici. Noi siamo un’alluvione, siccità, tifone, ma al tempo siamo anche l’arca».

Paolini non dà lezioni ma instaura, in un continuo riflesso tra il passato e l’oggi, un dialogo aperto che ha come scenario una grande fabbrica, arricchito di puntata in puntata, scrittori come Noam Chomsky, Andri Snaer Magnason e Daniele Zovi, saggisti come David Quammen e Loretta Napoleoni, scienziati come l’epistemologa Naomi Oreskes, Barbara Mazzolai, Laura Airoldi e Mariella Rasotto, economisti come Mariana Mazzucato, giornalisti come Paolo Capelli, esploratori come Alex Bellini.

Un tragitto che passa per luoghi come l’altipiano di Asiago, dove nel 2019 la tempesta Vaia ha abbattuto un milione di alberi in pochissimi minuti, o nel golfo di Trieste e attraverso momenti di rappresentazione, con il coro dei corvi meccatronici di Marta Cuscunà o Noè (Paolini), manutentore senza tempo della fabbrica. Nella prima puntata, dal titolo “Pipistrelli e virus”, si va dalla nascita del pensiero ecologico, grazie anche a una scienziata coraggiosa come Rachel Carson (suo uno dei testi di fondazione, “Primavera silenziosa”, uscito nel 1962, due anni prima della sua morte per un tumore) e la sua battaglia contro il Ddt, subito osteggiata, ai ricercatori che hanno ricostruito la storia delle moderne pandemie, come Carlo Urbani, il medico italiano che bloccò l’epidemia della Sars e perse la vita, fino al Covid.

«Abbiamo deciso di trovare un modo di racconto che non fosse angosciante, che non fosse quello del giornalismo d’inchiesta. Nella prima puntata ad esempio, non ci fermiamo all’attualità, ma torniamo alle cause generali, a ciò che aveva scritto Quammen nel 2013, sui salti di specie e a cosa può innescare la perdita della biodiversità o al mistero dei pipistrelli poco studiati fino a pochi anni fa».

Paolini si augura che «si condivida con qualcuno la visione del programma, in modo ci sia la possibilità di parlarne. Anche perché per agire serve la consapevolezza insieme all’entusiasmo. Gli esseri umani altre volte hanno compiuto rivoluzioni culturali in tempi brevissimi ma quasi sempre in direzione egoistica. Ora però forse stiamo capendo che il soggetto del futuro sono dei noi».

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