ROVERETO VENEXIANA
I magistrali "slambroti" dell'affabulatore Paolini
ROVERETO. Pantaloni arrotolati sino al ginocchio, scarpe da barca marroni, caccioletta rosso porpora in testa e palandrana grigia, svolazzante al gran vogare nell'immensa laguna, fatta di acque e di secche, di idiosincrasie e di libertà, di prese in giro, ma anche di nostalgia e di geniali intuizioni. A centinaia sono accorsi ad applaudire Marco Paolini, a farsi trascinare su e giù per ponti, calli e "salesade", in una piazza del centro storico di Rovereto.
L'approdo sulla terraferma di Paolini, alle prese con un riallestimento nuovo del suo storico «Il Milione, quaderno veneziano» è stato accolto con entusiasmo ed ha concluso in modo trionfale le serate di spettacolo di Rovereto Venexiana. Applauditissimo, questo attore-regista che ha iniziato la carriera con il teatro di strada, e clownerie, per approdare a quello politico, senza restarvene intrappolato, però. Il suo segreto è sempre lo stesso: coniugare tragedia a riso, ma per fare questo bisogna saper volare alto, andar ben oltre la politica. Del resto, ha affermato in una recente intervista, per lui è seducente "stare fuori dalla mischia", "fare finta" di stare sempre all'opposizione, per missione civile, per snobismo; perché l'"abbiamo schifo" è un vero concetto rivoluzionario. Non nel senso disfattista, però, ma in quello poetico, come ha insegnato Pasolini. Da vero cronista della vita degli spettri, Paolini a Rovereto ha rivoltato una volta ancora le tasche dell'immaginario veneziano. Un successo preannunciato, il suo: centinaia di persone lo hanno seguito negli affreschi d'una civiltà contemporanea che traccia servendosi della metafora lagunare. Paolini continua a cogliere, partendo da particolari a volte di per sé piccoli, grandi contraddizioni, desiderio di spazi aperti (la figura di Marco Polo è sempre cruciale), ma anche istinto di difesa, inconguenze, paradossi. Attraverso iperboli, apoteosi, "slambròti" ha fatto diventare la "venezianità" una categoria dello spirito. E la sua poetica si snoda disinvolta tra pause magistrali, sbuffi e "slambroti" dialettali.
Il pubblico non si scoraggia nemmeno di fronte all'avvertimento che, altrove, qualcun altro starà "cojonando" il popolo italiano... In piazza, così, si ride di ieri e di oggi, di loro e di noi, del veneziano che commerciava le reliquie dei crociati e che oggi guida da fare paura, di quello che fa tutte le salite in prima e a cui compri il cavallino di vetro come fosse un pezzo d'anima; del veneziano che è anche un po' sofista e perditempo, perché l'Oriente gli ha insegnato anche questo.
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