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Birdman Magazine – Marco Paolini in “Nel tempo degli dei. Il calzolaio di Ulisse”: restare umani davanti agli dei

E infine, dopo un lungo sfiorarsi, un corteggiamento cominciato fin dal 2003 con le improvvisazioni di Giorgio Gaslini e Uri Caine al sito archeologico di Carsulae e proseguito poi dieci anni più tardi a Milano con la rilettura di Odyssey di Bob Wilson, Marco Paolini porta in scena Ulisse e la sua Odissea. Per la prima volta in una produzione del Teatro Piccolo di Milano (in collaborazione con Jolefilm), Paolini è protagonista di Nel tempo degli dei. Il calzolaio di Ulisse, scritto assieme a Francesco Niccolini e con la regia di Gabriele Vacis

Ulisse è colui che resta umano e si ribella agli dei. Ma cosa sono oggi gli dei? In Homo deus, lo storico israeliano Yuval Noah Harari risponde che adesso gli dei siamo noi. La scienza e la tecnologia hanno permesso un cambiamento sostanziale nell’uomo, ora artefice del proprio destino, responsabile delle proprie scelte, senza poter più incolpare gli dei ma egli stesso un dio, o quasi: l’uomo sta percorrendo la strada per diventare “immortale”, ma non lo è ancora, è in una condizione transitoria e temporanea.

Paolini, per la prima volta non solitario sul palcoscenico – con lui Elia Tapognani, il giovanissimo Vittorio Cerroni e il coro: la cantante Saba Anglana e i musicisti Lorenzo Monguzzi e Elisabetta Bossio – interpreta l’eroe greco davanti a una scenografia essenziale: una sedia, una carrucola che sostiene e permette il dispiegarsi di un telo elefantiaco – che si muove e varia di forma a ricreare effetti, oggetti o situazioni, tramutandosi anche nel cavallo di legno donato alla città di Troia -, quattro grandi pannelli argentei appesi che, se scossi, riproducono il suono del vento, un immenso sacco sospeso e dal contenuto ignoto e il grande remo che l’acheo è costretto a portare sempre con sé, appoggiandolo alle proprie spalle.

Ulisse, in un ennesimo forzato pellegrinaggio, durante il viaggio/scalata verso lo “chalet Olimpo” dove risiedono gli dei, incontra un pastore che gli offre compensi – vitelli obesi – per raccontare di sé e delle sue avventure. L’eroe racconta allora, gli eventi meno conosciuti: non Polifemo, non le sirene, non Scilla e Cariddi, ma l’Ade, le vacche sacre del Sole, Calipso, Nausicaa  figlia di Alcinoo re dei Feaci e la strage dei Proci.

Durante il catalogo di eventi, di peripezie generate dai continui interventi divini, sono frequenti le interferenze del presente e, nascondendo il tragico dietro il velo dell’ironia, si palesano riferimenti all’odierno e all’attualità, a modellare uno straniante sincretismo. Il legame con la contemporaneità si manifesta evidente. Paolini stesso spiega: «quando giocano, gli dei giocano pesante. Non invecchiano e hanno sempre tempo di fare e rifare le cose, per questo non possono capire che ciò che accade agli uomini cambia le cose, a volte per sempre», gli dei giocano con gli uomini, per noia, per divertirsi e far scorrere il tempo, ed oggi il progresso tecnologico e scientifico consente, a chi può permetterselo – la parte ricca del mondo – «possibilità di lunga vita, possibilità di potenziamento mentale e fisico, possibilità di resistenza alle malattie» e quindi di diventare degli dei, dei che credono di poter disporre del destino e degli altri uomini in base alla propria volontà. Ulisse è ogni uomo odierno, burattino in un’ odissea guidata da nuovi dei non più relegati su un monte, ma aventi fattezze di un occidente decadente, irragionevole e crudele. Come aggiunge Vacis: «noi occidentali siamo diventati dei, sembra che possiamo disporre del Fato a nostro capriccio. Ecco, noi raccontiamo questo capriccio, il capriccio di una società in decadenza, il nostro adorato Occidente che ha vissuto settant’anni di pace, un privilegio assoluto, e non sa come garantire i prossimi settanta».

Lo spettacolo, scortato da un costante accompagnamento sonoro che intreccia epoche diverse tra echi classici, sonorità etniche e brani d’autore contemporanei, si conforma in una sorta di struttura bipartita, e al racconto degli eventi della prima parte succede l’evento finale della strage dei Proci, con tutte le sue conseguenze. La strage diventa luogo a sé nello spettacolo, e al racconto fa da sottofondo It’s five o’clockdegli Aphrodite’s Child «eseguita in un momento dello spettacolo che ci pareva in qualche modo “chiamare” Demis Roussos» (consiglio a chi non avesse mai sentito la voce di Roussos di cliccare sul link e ascoltare la canzone ndr).

Con l’uccisione dei Proci, Ulisse compie il suo destino, ottiene di nuovo il suo posto a Itaca, a casa, sua moglie e suo figlio, ma è colpevole per la strage, un eccidio voluto dagli dei, profetizzatogli da Tiresia nell’Ade e condotto con incredibile crudeltà dall’eroe, ormai corrotto dalla violenza dei giochi degli dei. E la colpa lo tormenta, così Ulisse decide di partire all’alba e di condannarsi all’esilio. Così l’acheo diviene il viandante che si finge un calzolaio, colui che vaga per meritarsi l’espiazione e che si sta dirigendo allo chalet Olimpo perché reclamato dagli dei stessi.

Quando finalmente Hermes si rivela, Ulisse rifiuta – nuovamente, come già successo con Calipso – il dono dell’immortalità perché «quando una cosa è gratis il prezzo sei tu». Non vuole essere un dio, non vuole avere niente a che fare con quegli annoiati e violenti che giocano con gli uomini e che «mangiano i propri figli per paura che gli rubino il posto». Con questo gesto risolutivo l’errante ritrova la propria eroicità, nella scelta di resistenza risiedo l’unico atto che gli resta: rimanere umano, poter invecchiare da padre a fianco al figlio Telemaco.

Rimanere umani davanti ai nuovi archetipi dell’uomo perfetto e immortale, rinunciare a diventare dei e a sfogare la noia e le frustrazioni dell’onnipotenza su chi uomo lo è ancora: quando, al momento del massacro finale, il sacco immenso rigurgita sul palco una miriade di coperte termiche, è chiaro quanto sia più difficile ogni giorno restare umani.

Una curiosità: la tematica fondamentale di Nel tempo degli dei. Il calzolaio di Ulisse era emersa anche nella nostra intervista con Marco Paolini, dopo il suo ultimo spettacolo Le avventure di Numero Primo: «La tecnologia offre possibilità impensabili in passato, fa sì che alcune persone di questo pianeta possano ragionevolmente aspirare non all’immortalità ma a una vita decisamente più lunga. Insomma: c’è un po’ di gente in giro che sta diventando dio. E gli dei sono distratti rispetto alle vicende degli uomini».

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