
La sala del Piccolo Teatro di Milano con molti spettatori, al 90% dai 50 ai 70 anni.
L'opera, scritta da Marco Paolini e Michela Signori, apparentemente tratta dell'incomunicabilità tra la generazione nata durante (e immediatamente dopo) il boom economico e quella che vive ora la giovinezza.Con il velocissimo passaggio dal mondo fisico al mondo digitale, si è perso – ci dice Paolini – un codice comune con cui raccontarsi e ascoltarsi tra padri e figli. Ma non c'è soltanto questo, mi pare, nel racconto di Paolini: la tecnologia, i mutamenti sociali, forse il semplice scorrere del tempo, hanno cambiato e confuso i boomers stessi, che sembrano aver smarrito il senso dell'esistenza che hanno vissuto.
L'escamotage teatrale è di immaginare che il figlio abbia ideato un nuovo gioco virtuale da vendere tramite una start-up, di cui il padre boomer (Paolini) è lo sceneggiatore e il protagonista.

Il padre stesso prova il gioco e lo racconta.
Indossando un visore, avatar biondo e barbuto di se stesso, il padre tenta di rivivere il racconto digitale della propria giovinezza, a partire dal “bar della Jole”, dove, tra stravaganti personaggi che sembrano usciti da un libro di Stefano Benni, aveva vissuto le prime esperienze di vita, di politica e di amori.
Ma il gioco diventa ben presto privo di senso: è un frullato onirico di eventi e di personaggi diversi, tratti dalla realtà, dalla televisione, dalla fantasia, che si incontrano come in un cartone animato grottesco.
Tutto, costretto nel racconto digitale, risulta troppo veloce, confuso e senza reale consistenza: mentre gli astronauti atterrano sulla luna, bombe esplodono nelle banche e sui treni, la polizia bastona l'avatar di Paolini in eskimo blu, i vietcong si nascondono agli americani in una botola, che dalla foresta pluviale porta al bar della Jole; nel bar irrompono rugbisti padovani, rivoluzionari cubani barbuti, Marilyn Monroe, Papa Giovanni XXIII, agenti del Mossad, Tex Willer e molti altri ancora.
Sulla narrazione aleggiano jingle di Carosello, spezzoni di sigle televisive e di canzoni, frammenti sonori di quegli anni in bianco e nero.
Tutto è frullato: i ricordi, i personaggi, gli eventi, sono giustapposti senza ordine; ogni cosa (politica, divertimento, tragedia, amore, lavoro), sembra assumere il medesimo valore e smarrire il senso, come in un sogno.
Si ride, talvolta, ma meno che in altri spettacoli di Paolini.
Tre musicisti e una cantante (la brava Patrizia Laquidara, che impersona la Jole) aiutano dal vivo Paolini con musiche e canzoni, originali o dell'epoca dei boomers.
Lo spettacolo si chiude stranamente con il canto di un'intera canzone che risale al 1977, anno che di fatto chiude la stagione politica e delle illusioni: Figli delle stelle di Alan Sorrenti.
Mi sembra strano, perché, come boomer, associo quella canzone al riflusso e alla disco music, fenomeni che non sembrano nelle corde e nei gusti di Paolini (e neanche, forse, del pubblico , che Paolini fatica a coinvolgere in un canto corale), ma la risposta al perché di tale scelta si trova ascoltando le parole di Alan Sorrenti, cui a dir il vero non avevo mai fatto caso, che richiamano la perdita di senso delle cose e lo scorrere del tempo:
Non c'è tempo di fermare
Questa corsa senza fine
Che ci sta portando via
E il vento spegnerà
Il fuoco che si accende
Quando sono in te, quando tu sei in me
Noi siamo figli delle stelle
Figli della notte che ci gira intorno
……………….
Senza storia senza età, eroi di un sogno
Noi stanotte figli delle stelle
Ci incontriamo per poi perderci nel tempo.
Forse sbaglio, ma alla fine Paolini mi è sembrato uscire un poco scontento e nervoso dal gioco e dalla recita stessa, come fosse insoddisfatto della resa finale. Ma a me lo spettacolo è piaciuto: è sofferto, è sincero e, anche in epoca digitale, Paolini ha ancora un pubblico capace di ascoltarlo.
Teatro Strehler – Milano
fino al 22 ottobre 2023
Boomers
durata: 100' senza intervallo
testi di Marco Paolini e Michela Signori
consulenza alla drammaturgia Marco Gnaccolini e Simone Tempia
regia Marco Paolini
con Marco Paolini, Patrizia Laquidara
e con Luca Chiari, Stefano Dallaporta, Lorenzo Manfredini
musiche originali di Alfonso Santimone e Patrizia Laquidara
disegno luci e progetto scenografico Michele Mescalchin
fonica Piero Chinello, assistenza tecnica Leonardo Sebastiani
direzione tecnica Marco Busetto
elementi scenici Pino Perri
montaggio documenti sonori Alberto Ziliotto
grafica e foto di scena Gianluca Moretto
prodotto da Michela Signori