I «Boomers» di Marco Paolini, nostalgia critica con finale commovente. Al Donizetti, padre e figlio spettatori

Sono tutti boomers al Donizetti, la sera della prima. Forse per la suggestione scatenata da un titolo che non potrebbe essere più esplicito. Quello che Marco Paolini ha scelto per il suo spettacolo: «Boomers». Gli spettatori che riempiono la sala, sono signore e signori nati tra il 1946 e il 1964 (è questo il significato sociologico - anagrafico della parola boomer). Non c'è quasi traccia del pubblico giovane o giovanissimo, che in buon numero di solito applaude in platea o nei palchi del teatrone. Succede spesso con i classici di Goldoni, De Filippo, Pirandello, Shakespeare.

Se non può essere classico, l’ultimo Paolini è nostalgico. Una disposizione d’animo pochissimo frequentata dalla Generazione Zeta, quella dei nati a cavallo dei secoli XX e XXI. Ad animare «Boomers» c’è una nostalgia critica e arrabbiata. Che sfida la retorica, il luogo comune, il citazionismo a pioggia. Avversari su cui l’autore non sempre ha la meglio.

Se il testo (un padre si tuffa nel proprio passato, grazie a un progetto di realtà virtuale messo a punto dal figlio) mostra forse alcune fragilità, l'attore veneto resta un performer portentoso. Centellina i gesti e domina la scena quasi da fermo. Gli basterebbe questa magnetica presenza, per fare breccia.
Ma Paolini, boomer classe 1956, aggiunge il carico della sua parola: fluviale, dinamica, affabulatoria. Cento minuti filati, senza un tentennamento. I boomers in sala annuiscono, ricordano, si immedesimano. Soprattutto, ridono.

Ma il finale – bellissimo, vale tutto lo show – un po’ è per riflettere e molto è per commuoversi. Tanto merito va a Patrizia Laquidara e ai musicisti Luca Chiari, Stefano Dallaporta e Lorenzo Manfredini che reinterpretano con grazia il brano «Figli delle stelle». Il pubblico conosce bene la hit del 1977 di Alan Sorrenti e con naturalezza si unisce alla cantante, mentre le luci del Donizetti piano piano si accendono. Fondamentale e finissima è l’illuminotecnica di Michele Mescalchin.

Di Ruggero Orlando e Tito Stagno, dell’eskimo e del «discorso della Luna» (con la duratura immagine della «carezza di un Papa che veniva da queste parti» rievoca Paolini), su Prima Repubblica e Democrazia Cristiana, che ne sanno i Duemila? Diego – ventitré anni, al Donizetti insieme a papà Fabio – è fra i pochissimi a potere rispondere. E risponde in coscienza: «Questa situazione può rivelarsi curiosa. Comprendere la realtà dei padri mi affascina, credo che la loro epoca fosse migliore rispetto alla nostra. C’era più speranza».

Coetanei di Diego possono provare a dargli ragione o torto e a imbastire un confronto generazionale, a teatro con la famiglia. «Boomers», sette repliche in tutto, resta a Bergamo fino a domenica 21 gennaio.