BOLZANO. Presentato come studio preparatorio nell'ambito della rassegna Word Box curata dal Teatro Stabile di Bolzano nella scorsa stagione, "Nel tempo degli dei. Il calzolaio di Ulisse" di Marco Paolini e Francesco Niccolini è in visione nella sua forma definitiva al Teatro Comunale di Bolzano fino a domani, domenica 10 novembre. Significativamente il titolo dello spettacolo nasconde il personaggio evocato, perché Ulisse non si presenta come il celebre eroe furbo per eccellenza: ora è invecchiato e, dopo il ritorno a Itaca, è ripartito con un remo sulla spalla fingendosi per l'appunto "il calzolaio di Ulisse" per dirigersi sull'Olimpo. La scena, che apre lo spettacolo, è lunga: sul palcoscenico Ulisse-Paolini arranca, fatica a camminare perché è legato ad una corda elastica saldamente nelle mani del figlio Telemaco (Elia Topognani). Perciò l'uomo impreca fino a quando interviene Hermes (protettore di ladri e attori), mascherato da un giovane pastore. In cambio di un certo numero di capre destinate al sacrificio per gli dei che Ulisse intende visitare, il ragazzo gli chiede il racconto di episodi ricavati dal repertorio delle sue avventure. Perciò Ulisse-Paolini si concentra soprattutto sull'Ade, le vacche sacre del Sole, Calipso, Nausica, la strage dei Proci, l'incontro con Penelope.
E' questo il filo conduttore che cuce la concatenazione narrativa di un testo fedele alla fonte omerica e contaminato da frequenti allusioni alla contemporaneità (Pozzallo, i centri di accoglienza, ecc), alle quali manca profondità nell'analisi, affidata alla rete di battute e giochi di parole proprie dello stile di Paolini, abile nella creazione di effetti comici e altrettanto capace di alimentare coinvolgenti situazioni tragiche. Il linguaggio è crudo e essenziale. Via via il ritmo progredisce, si fa calzante e pulsante. In parallelo l'impianto scenografico predisposto da Roberto Tarasco - una sedia, quattro grandi pannelli metallici appesi che riproducono il suono del vento, un telo bianco che varia di forma per creare effetti e situazioni, la pedana per i musicisti - si anima di personaggi interpretati dagli stessi musicisti. Vittorio Ceroni è Hermes contaminato dal linguaggio social, l'aedo Femio dal chitarrista Lorenzo Manguzzi è un cantautore scanzonato con flessioni dialettali lombarde, le maghe capricciose e vanitose Calipso e Circe competono a Saba Anglana, cantante dotata di una voce intensa e drammatica di grande intensità e bellezza, che le rende in modo simil pop, mentre la bassista Elisabetta Bosio in pelle nera partecipa con poche battute nella parte di Atena.
Il supporto sonoro, impreziosito dalle belle musiche originali di Monguzzi e arricchito da effetti etnici e brani contemporanei, lievita progressivamente di intensità, si mescola con la parola dell'attore tanto da compromettere in alcuni passaggi nodali la chiarezza espressiva. In questo viaggio epico, che lambisce con un velo di saggia ironia i nostri giorni, Paolini esibisce le sue note abilità performative modulando con precisione e coerenza i toni e le sfumature della voce anche nelle parti cantate. Il suo Ulisse è un personaggio umanizzato e antieroico, liberato dal mito e spogliato di poesia antica. La scena clou e simbolo dello spettacolo, carica di citazioni del nostro presente, arriva verso la fine dello spettacolo. Si anima una situazione piuttosto inquietante: i corpi dei Proci uccisi da Ulisse sono allusi da scintillanti veli di plastica accartocciati molto simili alle coperte termiche simili agli immigranti soccorsi in mare. A questo punto si è compito il destino del vagabondo Ulisse che ritrova il suo posto a Itaca, nonché moglie e figlio. Il numeroso pubblico segue con grande attenzione e curiosità lo sviluppo narrativo di questa nuova lettura di Ulisse, iniziata con il il prevalere del linguaggio della prosa e poi conclusa con le atmosfere del concerto musicale anche per il bis canoro concesso da Paolini e band che strappa altri e calorosi applausi.
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