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GAZZETTA DI PARMA – Gli «Sputi» di Paolini e Mercanti di Liquore: «Portiamo in giro un pezzo di storia»

Autentica tradizione popolare Esiste nella cultura italiana, letteraria e musicale, una tradizione di altissimo valore artistico e emozionale, oltre che popolare (inteso nel senso di vicina alle persone comuni per temi e linguaggio). E' una tradizione fatta di autori dei quali si parla sempre con splendidi aggettivi e sempre lodandone l'impegno, la bellezza e la profondità dell'opera. Autori come Campana, Calvino o De André. Se ne parla sempre bene ma sempre troppo poco, anche se forse De André ha maggior "visibilità", anche se non sempre è interpretato con precisione. Al recupero di questi autori (e non solo loro) sta da qualche tempo lavorando un gruppo molto particolare formato dalla band acustica Mercanti di Liquore (Lorenzo Monguzzi, Simone Spreafico e Piergiorgio Mucilli) e dall'attore Marco Paolini, l'indimenticabile interprete del monologo sulla tragedia del Vajont, a Parma poco tempo fa in scena da solo come siamo abituati a vederlo. Insieme, hanno allestito lo spettacolo «Song 32», ripartito in una nuova versione (che segue da vicino l'uscita del cd Sputi, ispirato allo spettacolo pubblicato il 1º aprile) martedì al Fuori Orario, aperto solo per l'occasione. E' stato un tuffo al cuore, una lunga intensa emozione, personale ed intima ancorché condivisa, per tutto il numeroso pubblico accorso ad assistere a questo strano spettacolo che non è un concerto e non è un monologo, non è teatro e non è musica. E' semplicemente il racconto di un'Italia vera e sincera, il racconto dei suoi problemi e delle sue genialità, delle persone che la vivono, della sua terra, della sua Storia; un racconto narrato attraverso le canzoni dei Mercanti di Liquore, i testi di Paolini e le letture estrapolate da scrittori e poeti. Nella struttura dello spettacolo e nelle scelte artistiche è evidente la mano di attore come Paolini, ma non c'è un elemento in particolare che prenda il sopravvento, tutto è misurato, ognuno ha la sua parte; Paolini ci ha messo la sua capacità affabulatoria (e in questo potrebbe essere il vero erede dell'arte di Dario Fo) i suoi interventi così forti da costringere al silenzio assoluto l'intero pubblico, trattenendolo sul filo del respiro o liberandolo in una grassa risata. I Mercanti di Liquore ci hanno messo le canzoni, riportate ad una dimensione popolare e ripulite da tutto ciò che con la Musica non hanno nulla a che vedere. E' così che hanno potuto cantare una canzone come Lombardia, parlando come terra d'origine e non come invenzione politica. Gli applausi a chiusura di una canzone o di un intervento testimoniavano l'emozione, ma non ci sono parole per commentare il finale: prima Paolini invitava Michela Ollari (dei parmigiani Terramare) a cantare L'altissimo, poi parlava dei sette fratelli Cervi (presi come modello per dire come la tirannia elimini chi la combatte) attraverso due filastrocche di Rodari e un monologo con il quale li paragonava a stelle: «Sette, come le stelle. E i cani non posso uccidere le stelle». Arte e commozione uniti in uno spettacolo strano e atipico, toccante e divertente, che Lorenzo Monguzzi, al termine, descrive così: «Abbiamo la sensazione di portare in giro un pezzo di storia del nostro paese, ma la cosa meravigliosa è che ogni posto percepisce meglio certe parti dello spettacolo. In ogni posto, in ogni regione ti accorgi della cultura specifica di quel paese, che fa reagire in modo emozionale su cose differenti da uno all'altro. Qui, ad esempio, c'è tutta la tradizione emiliana del dopoguerra che arriva addosso con una violenza notevole. Per noi, tutto questo è un arricchimento».

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