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GIORNALE DI BRESCIA – LA TV SCOPRI’ L’AFFABULATORE CIVILE

Qualche volta la tv fa la cosa giusta. Come l'aver dato visibilità a Marco Paolini che dalla messa in onda su Raidue (decisa dal direttore Carlo Freccero in controtendenza al tran-tran televisivo) de «Il racconto del Vajont - Cronaca civile di un olocausto» ottenne un'eco meritatissima.
Era i1 9 ottobre 1997 e la performance di Paolini davanti alle telecamere dimostrò che si poteva fare un'operazione di tv-qualità, di impegno civile e di ritorno d'audience trasmettendo in diretta in prima serata da Longarone tre ore di monologo drammatico sui luoghi del disastro che nel 1963 colpì la vallata del Vajont, quando l'onda d'acqua provocata dalla frana della montagna superò la diga e fece duemila vittime. Furono 3,5 milioni i telespettatori, per uno share del 16%: tanti per una trasmissione del genere che non era stata neppure annunciata con adeguata promozione. Quanto bastava per entrare nella storia degli eventi televisivi e meritare alla produzione l'Oscar tv come «miglior programma» dell'anno; dopo che nel '95 il testo e l'allestimento teatrale con la co-regìa di Gabriele Vacis s'era già meritato il Premio Ubu speciale per il teatro politico e nel '96 il Premio Idi come miglior novità teatrale italiana.
Attenzione, però: la tv non ha «creato» Paolini, perchè l'oggi 50enne autore-attore-regista nato a Belluno e cresciuto a Treviso vi è approdato forte di una qualità già dimostrata sui palcoscenici e nelle piazze a partire dagli Anni 70. Magari portando in scena i frutti di un ostinato peregrinare fra i mercati del Veneto con un registratorino portatile a cogliere situazioni, voci e idee per i suoi Album e i suoi Bestiari. Magari rivisitando i
tempi e le vicende della Strage di Brescia e i misteri di Ustica. Facendo «solo» teatro perchè, dice lui, «non voglio che il mio teatro sia "civile" per differenziarlo da quest'altro teatro di... morti. Io faccio teatro e basta».
Perchè Paolini la fama, anche quella via-tv, l'ha meritata, ma non l'ha cavalcata: non riportò «Vajont» in palcoscenico dopo il videoboom, nè lo fece per «Il Milione», anch'esso tele-trasmesso, che per caso si limitò a replicare proprio al Grande di Brescia nel '99 solo per un impegno preso due anni prima. Quando lo intervistammo alla vigilia della recita, scherzò divertito: «Far uscire di repertorio i miei spettacoli più noti non è così strano: ho scoperto che la tv è un bel modo per far finire le cose...». Forse perchè condivide quel che faceva dire ai personaggi del terraiolo Campagne e del veneziano d'acqua Sambo, cioè che «per andare avanti non è sempre necessario andare in linea retta».
Ecco allora i tanti e differenti progetti: teatro; radio; documentari sugli scrittori prediletti Meneghello, Rigoni Stern, Zanzotto. Ecco l'affiancamento (con monologhi che erano mirabili micro-saggi, sociologici) a un programma d'inchiesta giornalistica come «Report» di Milena Gabanelli. Ecco i libri, i dvd, le serate musicali live e i cd con ì Mercanti di Liquore.
Tante cose, sempre scintillanti d'impegno personale e civile, nonchè di maestria attoriale, da campione di quel teatro della parola che è l'essenza a stessa della prosa. E che richiede di documentarsi prima ancora che d'ingegnarsi a mettersi bene in scena. Come quel «Parlamento chimico - Storie di plastica», ricostruzione delle vicende finanziario-sanitario-giudiziarie del polo petrolchimico di Marghera, portato nel 2004 in un Sociale tutto esaurito. Fu una... lezione di storia italiana innalzata a riflessione etica. Un'altra delle tante novelle affascinanti ma non inutili, che da sempre racconta con sincerità e arte non comuni l'Affabulatore Civile.

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