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Guardare in faccia le ferite, ascoltare l’allarme. “La Fabbrica del mondo” cancella tutti gli alibi

E' una scienza raccontata in modo chiaro quella di Marco Paolini e Telmo Pievani su Rai 3: non si può più dire "non sapevo".

Portare il tema dei temi - il cambiamento climatico - direttamente a casa del grande pubblico, attraverso il mezzo che ancora è il più diffuso e capillare: la televisione. Solo il tempo dirà se l'esperimento - partito sabato sera su Rai Tre, ma ci sono altre due puntate - avrà funzionato. Di sicuro il dialogo tra l'attore e il professore rappresenta un nobile tentativo di raccontare, descrivere, analizzare il momento che stiamo vivendo. La narrazione è asciutta e diretta, tenuta sempre sul piano divulgativo e lascia solo quel tanto che basta al sorriso ma solo per tenere alta l'attenzione.

Un racconto ecologico che unisce la tecnica del teatro civile cara a Marco Paolini alla divulgazione scientifica propria di Telmo Pievani. L'audience è incoraggiante, per un sabato sera di solito dedicato al varietà scacciapensieri: un milione e duecento mila persone per uno share del 5,5 per cento, al terzo posto dopo Maria De Filippi su Canale 5 e Carlo Conti su Rai 1.

Certamente, il format "La fabbrica del mondo" è coraggioso e inedito: un racconto duale con inserti teatrali e docu-interviste ad alcuni dei protagonisti mondiali dell'ambientalismo. Vedi Rachel Carson, la divulgatrice «che provocò il pandemonio sul Ddt», Angelo Lombardi, il primo a portare un alligatore in uno studio televisivo e la storia della scienza Naomi Oreskes. C'è anche un insospettabile Noè che, alle prese con la costruzione di una seconda arca della salvezza, reclama il "diritto di mugugno": «La prima volta il principale mi ha dato un secolo di tempo, oggi dieci anni. Non c'è più la classe dirigente di una volta».

Una produzione dove c'è molto Veneto. E questo, in una Rai troppo spesso accusata di essere romanocentrica, almeno fa bene al cuore: a partire dal rudimentale "studio" realizzato nello stabilimento Marzotto di Valdagno, che non stonerebbe neanche in una produzione americana sulla fine del mondo. Grottesca ma efficace la trovata del telegiornalista che continua a descrivere l'allarme climatico come fosse una notizia qualunque.

Daniele Zovi accompagna invece i due conduttori sulle macerie di Vaia, ad Asiago. La tempesta ha lasciato a terra 14 milioni di alberi. Dalle cataste di legna si alza il grido della catastrofe ma nel sottobosco ferito la natura sta già provvedendo alla ricostruzione, piccole piantine crescono accanto ai tronchi feriti. I collegamenti con David Quammen, autore di "Spillover", sono stimolanti ma forse un po' lunghi. Il messaggio, alla fine, sembra essere quello della ineluttabilità di una convivenza con virus e batteri, che fanno parte comunque della nostra vita fin da prima di questo tempo. «Ma oggi stiamo facendo di tutto per aumentare le probabilità che le pandemia siano più frequenti e più cattive» sintetizza Pievani pensando alla costante distruzione degli ecosistemi naturali per fare spazio alle attività umane.

Tra gli arredi della vecchia fabbrica spunta l'Agenda 2030 con i suoi diciassette obiettivi e l'ambizioso traguardo di arrivare a zero emissioni in trent'anni. «Bisognerebbe accompagnarla questa Agenda, abbiamo già perso due Giga di calotta polare e quattro Terabyte di barriera corallina. Si è rotto il climatizzatore della fabbrica del mondo ed è una roba grossa».

Struggente - forse il momento più alto dello spettacolo - l'omaggio finale a Carlo Urbani, l'immunologo che nel 2003 pagò con la vita lo studio della prima Sars, la mamma del Coronavirus. Fu grazie a lui se all'epoca una pandemia venne scongiurata ed è grazie al suo protocollo a base di mascherine e quarantena che abbiamo potuto combattere l'epidemia dei giorni nostri. «Era un medico senza frontiere, uno che aveva sposato la medicina che cura dentro e non consente le disuguaglianze, agiva come fanno i medici del Cuamm e i chirurghi di guerra di Emergency» conclude Paolini.

Appuntamento a sabato prossimo con qualche breve anticipazione, l'incontro con gli scienziati che celebrano i funerali degli iceberg e un'indagine sulla plastica, la materia che Dio si era dimenticato di creare.

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