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Il Giornale di Vicenza – Paolini fa poker in salotto

L’autore ha provato a Schio alcuni dei racconti che potrebbero diventare spettacolo

Al Civico sperimenta quattro storie davanti a 70 persone

Schio. «Cavie, cercherò di essere clemente: non sarò lungo». Marco Paolini ha accolto così la settantina di spettatori che l’altra sera al Teatro Civico ha assistito al "rodaggio" di alcuni dei racconti che andranno a comporre il prossimo spettacolo dell’attore bellunese, e che saranno ripetuti a Schio fino al 26 luglio (stasera alle 21, posti esauriti) come "Racconti d’estate".
«Pagherete caro, pagherete tutto», ha scherzato Paolini accogliendo il pubblico sul palco del Civico, alludendo all’audacia che i settanta avevano dimostrato accettando di assistere ad uno "spettacolo" a scatola chiusa. Ma il pubblico scledense non ha fatto solo da sparring partner all’autore ed attore: se da un lato Paolini aveva bisogno di provare i tasselli del prossimo spettacolo percependo gli umori e la partecipazione di un pubblico vero, per quanto ridotto, dall’altro si è trattato di una serata familiare, quasi intima.
L’attore, di fronte ad un leggio situato su quel che resta del proscenio del Civico, ha recitato volgendo le spalle alla fossa della platea, a pochi passi dal pubblico, seduto su sedie, gradoni e cuscini sistemati sul palcoscenico.
Quattro storie, quelle narrate da Paolini, crude o sottili, capaci di serrare la bocca dello stomaco o di far sorridere, ma soprattutto vere. Vere nei fatti, ma anche nella naturalezza con cui sono state esposte. Come si fa a passare dalla tragedia di Bhopal alle memorie di una vita in fabbrica? Dal dramma dell’uranio impoverito al fascino delle vecchie linee ferroviarie? Basta accoccolarsi e stare a sentire narrare Paolini. Si passa così dall’orrore per le leggerezze che causarono la fuga di gas e le migliaia di morti di Bhopal al sorriso tenero ma che provoca la riflessione ascoltando la vita di Gelmino Ottaviani, legnaghese classe 1935, una vita alla Riello e nel sindacato. Per poi indignarsi nuovamente sentendo parlare dell’uso indiscriminato e volutamente nascosto di proiettili all’uranio impoverito, sulle spalle di inconsapevoli soldati in missione di pace; fino a tornare a sorridere con grande dolcezza, ripercorrendo sulle ali della fantasia e della memoria la storia delle ferrovie italiane, tra itinerari e paesaggi, con episodi comuni a molti e teneri aneddoti.
Eccoli, i quattro quadri che Paolini ha presentato al ristretto pubblico, senza stimolare o attendere applausi, osservando quasi più lui il pubblico di quanto gli spettatori guardassero all’attore. Del resto, le poche decine di persone sistemate alla meglio sul palco del Civico erano veramente delle cavie, delle spie luminose di gradimento, degli indicatori di coinvolgimento indispensabili all’attore per saggiare la reazione e, di conseguenza, cambiare, aggiungere, togliere, limare pezzi fino a raggiungere un prodotto teatrale finito.
La narrazione di Paolini, suddivisa nei quattro diversi episodi, è durata circa due ore e mezza. Poco, rispetto agli standard dell’attore ed autore bellunese, che in conferenza stampa, l’altra mattina, aveva gridato al miracolo scherzando sul fatto di aver scritto storie "brevi". Certo, quello che Paolini sta presentando in queste sere al Civico è solo un canovaccio, l’abbozzo di uno spettacolo che, forse, non vedrà mai nemmeno la luce con questi racconti. Ma proprio qui sta la particolarità: nei "Racconti d’estate" in prova al Civico non c’è da aggrottare la fronte se l’attore incespica su una battuta, litiga con la memoria o scivola su una pronuncia. Qui il fascino sta nella proposta inedita, piacevole ed originale anche per la collocazione: familiare al punto che al termine, più che d’applaudire, lo stimolo è quello di alzarsi e avvicinarsi al "padrone di casa", stringergli la mano e ringraziarlo per la bella serata, per poi accomiatarsi appagati.

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