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Il Mattino di Padova, La Nuova di Venezia, La Tribuna di Treviso – E con Paolini si torna giovani

Memorie di una generazione

"Liberi tutti" alla Murata di Mestre

MESTRE - Il viaggio che Marco Paolini ha intrapreso, a cominciare da "Adriatico" (1987), nella memoria personale e di un'intera generazione viene sempre più a coincidere con l'appassionata ricerca di una identità culturale per la nostra regione, stravolta, come e forse più di altre, dalle trasformazioni profonde quanto incomprensibili degli ultimi decenni, dall'omologazione culturale, dalle cronache e dagli scandali che campeggiano tristemente anche in questi giorni sulle prime pagine dei giornali.

Se "Adriatico" ricreava l'universo della colonia estiva e "Tiri in porta" (1990) quello del campetto di calcio, delle prime rivalità, della scoperta di sé, il nuovo spettacolo, "Liberi tutti", coglie l'epifania di un'adolescenza ribollente e si complica con l'apertura inevitabile ai farmaci politici del tempo. "Su un punto dobbiamo essere d'accordo", precisa infatti Paolini all'inizio, "stasera, qui, avevamo tutti otto anni nel '64".

Protagonista è sempre lo stesso gruppetto di amici, l'ambientazione è sempre quella della provincia veneta, ma nella nuova tappa di questa specie di romanzo di formazione si fa sentire più chiaramente l'influenza di Luigi Meneghello, nell'equilibrio drammatico degli episodi, scritti dallo stesso Paolini e dal regista Gabriele Vacis (che tra l'altro, insieme al Teatro Settimo hanno da poco ricevuto il premio Ubu per la drammaturgia), e soprattutto nell'impasto di una lingua che verifica costantemente la propria tenuta semantica attraverso ampie concessioni dialettali.

E se lo spettacolo è liberamente ispirato a "La guerra dei bottoni", è riconoscibile nei momenti più crudi un'inquietudine mutata da Tondelli, e nelle sfumature più colorate il realismo fantastico di Calvino. Tanti riferimenti per cercare di raccontare un periodo irripetibile, un'iniziazione alla vita attraverso la nascita della "compagnia", la pratica clandestina del teatro proibito (Brecht, naturalmente), la scoperta della politica, l'America delle canzoni, fino alla soglia del 1973, alla vigilia del referendum sul divorzio e degli anni di piombo. Ma questa è un'altra storia, un'altra Italia, un'altra provincia. Gli anni Settanta sono ancora lì, scomodi e irriducibili, uno spettro che ancora disturba una pacificata archiviazione del secolo.

Saranno il prossimo capitolo, il prossimo album di ricordi di Paolini, e non per il semplice gioco del "come eravamo", ma per una testimonianza di pelle e di sogni da portarci nel secolo che viene. "Liberi tutti" è in scena al Teatro della Murata di Mestre fino a domenica, pronto a coinvolgere e a divertire anche chi nel '64 non aveva otto anni, perché come sempre accade nelle grandi opere lo spessore di verità è senza tempo e senza ideologie.

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