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Il Mattino di Padova – Marco Paolini affabulatore di storie vecchie e nuove in cui si affaccia la letteratura

Ha inaugurato a Stra il Festival delle Ville

STRA - Si comincia con il Vicolo degli Strami e con Sigieri di Bramante. Ma il filosofo belga che Dante volle in Paradiso c'entra soltanto per quel vicolo che Marco Paolini sentì citare dalla Norma, nella prima gita scolastica, venticinque anni fa, a Parigi. Nella serata inaugurale del Festival delle Ville, Marco Paolini apre l'album delle storie personali. Le chiama "Stazioni di transito" e si basano su un canovaccio più o meno stabile di nuovi e vecchi racconti su cui si innesta l'improvvisazione. E si comincia con quell'estate del 1974 quando l'adolescente Paolini cercava il modo di fare all'amore con Norma. Che invece preferiva Dante ed Eliot.

Il filo di Paolini, da una stazione all'altra, è il racconto, oppure la lettura. Che si rinnova proprio come storia, affabulazione. E diventa la notte dei treni che fischiano con un dolore rabbioso dal sud al nord, con l'Italia spaccata in due da un treno sventrato in una galleria di San Benedetto Val di Sangro. È anche la storia di Aldo Corsari, il ferroviere che scende all'alba in una stazioncina d'agosto, per andare al bar della Jole e raccontare la strage dell'Italicus e di treni fermi e locomotive che fischiano. "Perché c'è bisogno di storie - dice Paolini - perché c'è voglia di ascoltare parole che devono essere giuste , né troppe né troppo poche".

A Villa Pisani di Stra, un migliaio di spettatori ascolta Paolini che quasi abbandona il teatro, affidandosi solo alla voce. Un gruppo di sordomuti invece guarda un'interprete impegnata a raccontare per gesti storie fatte di dialetto ed italiano, comicità e pensiero. Arrivano da Torino ed anche loro si occupano di teatro. All'interprete, chiamata a "trasformare" nel complesso linguaggio gestuale un evento teatrale essenzialmente fatto di parole, Marco Paolini ha fornito il copione. "Però, poverina - aggiunge - non so come faccia perché lo cambio in continuazione". Storie di parole che diventano segni e ad un certo punto non ha importanza se Paolini parla italiano o veneziano, oppure se legge Pasolini che traduce in friulano "La Terra Desolata" di Eliot. L'invito è esplicito. "Stasera quando si applaude lo si fa muovendo le mani nell'aria". Così l'applauso è un accalorato silenzio di mani mosse in alto. Puntuale, ad ogni battuta.

L'impossibile silenzio parlato di Nano, altra storia, soldato di leva che rimase sepolto a Gemona, nel crollo di una caserma durante il terremoto del Friuli. Tre giorni sotto le macerie e Nano racconta agli amici sepolti come lui, la storia della Teresa. Fra comico e tragedia, altra storia vera di un'insegnante, amica della Norma, che si perde in montagna nei boschi mentre va a trovare il moroso, un ex prete. Nodi di un viaggio che racconta Lubijana e l'America, Treviso ed il Friuli. Alla fine, quello di Marco Paolini è il racconto di un uomo di teatro che narra aneddoti che coinvolgono decine di persone che forse conosciamo tutti, infine libri. Il ferroviere, la Jole, l'amico che ha creduto nell'Oriente, per un tempo che è passato ma che è solo l'altro ieri. "In America facevo l'arlecchino nei college - narra Paolini. Lo "spettacolo" durava pochi minuti, nell'ora della mensa. Per attirare gli studenti dicevano che in Italia negli anni Ottanta o si faceva l'attore o si entrava nelle Brigate Rosse". Il racconto di Paolini è anche disavventura fra aeroporti di una Jugoslavia che non c'è più e fallimenti di spettacoli a Treviso con Carmelo Bene che se ne andò disgustato perché c'era poco pubblico e poco denaro. Un tutto che ridiventa comico e risata, con una strana voglia di storie e di libri.

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