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Il Messaggero (Cronaca nazionale spettacoli) – In scena i soldati uccisi dai Balcani

L'autore-attore, dopo Vajont, Ustica e Porto Marghera, ha anticipato nei pressi di Bologna lo spettacolo-orazione civile

Marco Paolini: ricordo i ragazzi morti per aver maneggiato uranio impoverito

BORGO TOSSIGNANO (BOLOGNA) Black out: l'impianto audio si blocca, la luce va via, quel po' di luna è velato e mille persone restano al buio pesto in mezzo al bosco, sulle rive del fiume Santerno che gorgoglia appena. Nel silenzio assoluto di quelle mille persone che non vogliono perdere nemmeno una parola, Marco Paolini pesca dalle tasche una piccola torcia elettrica e continua a leggere e a raccontare la storia di Luca, uno degli almeno 18 soldati italiani morti al ritorno dalle missioni nei Balcani. Sindrome dei Balcani, appunto, così simile a quella del Golfo? Ovvero - si ipotizza - leucemia causata dalle polveri di uranio impoverito?
«Luca era un dipendente dice Paolini perché adesso i subordinati vengono chiamati così dagli ufficiali: effetto della pr ofessionalizzazione dell'esercito, uno dei settori, del resto, della nazione-azienda in cui viviamo. All'ospedale non siamo più pazienti , ma clienti ; sul treno non siamo più viaggiatori , ma clienti . E nell'esercito ci sono a desso i dipendenti: se si ammalano per una causa che non viene riconosciuta di servizio, dopo tre mesi restano senza stipendio. E, se muoiono, i loro familiari restano senza pensione».
Marco Paolini è in giro per l'Italia con Racconti d'estate: per metà spettacolo si ride con le sue avventure giovanili di attore da strada, nell'altra metà l'autore-attore veneto offre un'anticipazione dell'opera che richiederà ancora molto lavoro di preparazione. E la platea ammutolisce nella tensione che sale. Sarà un'altra orazione civile: dopo Vajont, Ustica e Porto Marghera, ecco il caso dell'uranio impoverito, la storia di molti ragazzi italiani volontari nell'esercito per passione o per necessità che poi sono morti o si sono gravemente ammalati.
«"Striscia la notizia" ricorda Paolini per prima diede spazio al maresciallo Domenico Leggiero che fra il 2000 e il 2001 raccolse testimonianze e cartelle cliniche dei reduci. Testimonianze: perché inizialmente i nostri soldati in servizio nei Balcani, quelli addetti a bonificare le zone delle battaglie, indossavano la semplice "mimetica", mentre al loro fianco americani e tedeschi hanno sempre avuto tute speciali e un corposo manuale di avvertimenti?».
E poi?
«Poi il caso decollò, venne istituita la commissione Mandelli che però non accertò significativi legami fra le malattie e le polveri di uranio impoverito. Ma spiegatemi perché, ad esempio, per mettere a punto le statistiche, il numero delle segnalazioni venne legato al numero totale dei soldati in missione, anche coloro restati pochissimo tempo nei Balcani? Un conto è fare calcoli su 38mila uomini o su 25mila. Oppure sui 2500 che, a turno, sono stati in servizio in una determinata caserma: tra di loro si sono poi registrati numerosi casi. Ma poi l'11 settembre 2001 spostò l'attenzione di tutti e non si è più parlato di questi soldati. E neppure del colossale business planetario legato alla convenienza di smaltire nei proiettili centinaia di migliaia di tonnellate di altrimenti inutile ed ingombrante uranio impoverito».
Paolini incontra militari malati e i familiari dei morti, si documenta, legge rapporti, paragona dati: un lavoro intensissimo, meticoloso, che dà spessore al fascino del racconto.
«Serve innanzitutto rispetto, anche per le parole, per i termini tecnici: che parli di radar, di aerei, di geologia all'inizio sono sempre imbarazzato quando vengono in bocca parole che non sono tue».
La cifra di Paolini è sempre più segnata da quella dell'impegno, dell'orazione civile: in autunno sono in programma sei monologhi in prima serata su Rai Tre; poi "Aprile '74 e 5"(rugby, battaglie politiche e la strage in piazza della Loggia a Brescia) sarà il 3 settembre per la prima volta presentato su un campo da rugby (alla Guizza di Padova) e quindi il 3 febbraio all'Ambra Jovinelli, in casuale quanto attraente coincidenza con il Torneo delle Sei Nazioni al Flaminio. Ma quanta fatica costa l'impegno?

«Tanta conclude Paolini, sceso dal palco di Borgo Tossignano, dove luce e audio sono nel frattempo tornati anche perché, vedi il discorso del Vajont, le lezioni che sembrano indimenticabili invece si dimenticano. Non riesco a capire come sia possibile abituarsi, in questa nazione-azienda, a tutto quello che accade e che ora viene persino amplificato dallo scenario europeo. Da qualche parte, evidentemente, si è ceduto, si è delegato, e questi sono i risultati. Ma non sono rassegnato: anzi, so che dovrò ripartire tante altre volte ancora: però, in effetti, ad ogni tappa, serve più tempo per ricaricarsi».

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