La cosa più eclatante del successo di Marco Paolini con il suo splendido “Sergente” è che i complimenti gli sono arrivati dalla Rai tramite un suo consigliere (Curzi), e dal ministro Gentiloni. Sarà bene ricordare che fino a poco tempo fa l'attore monologhista, coi suoi potenti one man show, offriva salutari boccate d'ossigeno (ascolti e qualità, un binomio di rara riuscita) su Raidue e, ora, ha traslocato su La7, rete di nicchia ma che ha l'ambizione di coprire gli spazi lasciati incustoditi dal servizio pubblico (e non sono pochi). Per questo gli interventi di Curzi e Gentiloni (che almeno hanno preso a pretesto l'occasione per indicare una via d'uscita) sanno di beffa. Non perché abbiano responsabilità diretta, ma dalle parti di viale Mazzini ancora non si intravedono segnali di svolta (sarà quella del piano industriale l'occasione buona o ci si rimetterà a parlare di poltrone?). Fatto sta che il debutto dell'altra sera ha fatto impennare l'Auditel quasi il 6 per cento,
il 5,70, su La7 è un boom che raddoppia le medie rete) e indica che una tv di qualità è possibile, sempre che se ne abbia la voglia. Insomma, basta crederci. E ci si può credere anche senza fare sconti, proprio come ha fatto Paolini che per rileggere “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern si è chiuso in un antro, ovvero una cava di pietra bianca tra i Colli Berici. Una lunga cavalcata di parole e sguardi, di voci (quelle dei poveri soldati italiani), di potenza recitativa, di fantasia, di emozioni, di gran teatro (non scordiamo che Palcoscenico su Raidue è abituato ad andare in onda all'una di notte o giù di lì) lasciando la pubblicità ad aspettare fuori dalla porta.
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