Marco Paolini cerca complici. «Per un complotto: salvare la fabbrica del mondo». Meglio se tutti insieme. «Viviamo in un mondo che viene costantemente trasformato da tutto ciò che facciamo». Come dire: l’aumento dell’occupazione dei posti in terapia intensiva c’entra con la deforestazione amazzonica. Parte da queste riflessioni la “Fabbrica del mondo”, il nuovo progetto dell’artista di tanto teatro civile atteso in prima serata su Raitre sabato 8 gennaio: una serie originale in tre puntate ideata e condotta dall’artista con lo scienziato evoluzionista Telmo Pievani che, mescolando teatro, tv, cinema, divulgazione scientifica, riflessioni, conversazioni con scienziati e immaginazione, pone domande importanti sul peso del nostro benessere, sullo stato (malandato) del pianeta, sulle nostre responsabilità.
Responsabilità che sono sempre più gravi.
«L’idea del pianeta non è consolatoria, non è casa, ma è fabbrica perchè tutto ciò che facciamo modifica l’ambiente. Il benessere ha un costo, e quel conto sta arrivando. Ma non te lo aspettavi, perché avevi letto male il menù».
Come è arrivato a progettare “La fabbrica del mondo”? Lei distilla le sue apparizioni in tv.
«Quando è arrivato il covid, mi sono reso conto che non si poteva andare avanti come prima: mi sono interrogato sulle priorità rispetto alla missione del teatro nel rapporto con la scienza. La pandemia ha generato una crisi nella comunicazione scientifica: siamo bersagliati di informazioni non facilmente elaborabili, che permettono a ciascuno di fare riferimento a una scienza e non all’altra. Nella scienza trovi tutto e il contrario di tutto».
Come nella rete.
«Appunto. Mi domando: internet è la biblioteca di Alessandria dove c’era tutto, o assomiglia al libro di Aristotele, quello che per anni è stato al centro del sistema? Fino a Galileo nessuno guardava fuori dalla finestra. Dopo secoli di dubbi, dopo il ‘900 in cui la scienza è diventata quasi una religione, l’avvento della rete giustifica una conoscenza che non ha più bisogno di mediazioni, perché la trovi nel “libro” che hai a disposizione a casa, per di più personalizzato».
La rete ti riconferma nelle tue convinzioni.
«Esatto, l’algoritmo cerca di non scontentarti. È un amico talmente fedele che nega qualsiasi cosa che ti dia fastidio. È consenso. E questo fa sì che sia difficile ascoltare qualcuno che abbia idee diverse dalla tua».
Di qui il progetto tv?
«Sì, abbiamo pensato di mettere insieme le arti e la scienza non per offrire una verità contrapposta ad altre, ma per ridare voce alla bellezza del ragionare insieme attorno alle cose. Raccontare per incuriosire, per muovere il pensiero, presentando sì i dati, ma senza essere fossilizzati».
I temi sono tantissimi: nella prima puntata affrontate “Pipistrelli e virus”. Come vi siete mossi?
«Siamo partiti dall’Agenda 2030, ambiziosissimo progetto dell’Onu con 169 traguardi a scadenza ravvicinata per la salvezza del pianeta. Abbiamo puntato alle cose più importanti, cercando i collegamenti. Abbiamo avuto la supervisione di un comitato scientifico, ho lavorato con un gruppo di autori tv e storici del teatro, e poi due registi, Marco Segato per gli esterni e Flavio Calvi all’interno della fabbrica».
Un bell’esperimento. Si impara molto.
«L’idea era anche questa: ridare un po’ di importanza al valore del servizio pubblico, cercando un modello diverso di trasmissione. Non abbiamo usato le immagini patinate da National Geographic, a teatro non servono, devi fondarti sulle parole, sul tempo lento».
Interessanti i corvi “meccatronici” di Marta Cuscunà, scesi direttamente dai cori dell’antico teatro greco.
«Una fuoriclasse. Ho una grande stima di Marta, si è rivelata una splendida compagna di lavoro».
L’obiettivo?
«Ci stiamo attrezzando per non far finire l’esperienza: a teatro è solo iniziata. A mio avviso questa cosa funziona se diventa come un virus, hai bisogno complici, e li stiamo arruolando».
Siete andati a girare a Valdagno, alla Marzotto.
«La fabbrica è la metafora di quello che volevamo raccontare: non è nuova, risale ai primi del ‘900, e in qualche modo è vincolata al territorio in cui si trova. Per continuare a lavorare deve modificare se stessa, senza buttare via e ripartire da zero. Ripartire da zero è semplice nei modelli economici, ma nel reale non funziona, perché non hai un mondo B a disposizione. Questa è la difficoltà della transizione ecologica: bisogna ripartire da quello che è stato fatto, tenendo conto degli errori e correggere la rotta».
di Chiara Pavan
Questo sito utilizza cookie tecnici, analitici e di terze parti per le sue funzionalità. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie clicca qui Cookie Policy. Cliccando "Ok" su questo banner o proseguendo nella navigazione del sito acconsenti all'uso dei cookie.
Scegli a quali categorie di cookie dare il consenso. Clicca su "Salva impostazioni cookie" per confermare la tua scelta.
Scegli a quali categorie di cookie dare il consenso. Clicca su "Salva impostazioni cookie" per confermare la tua scelta.
Questo contenuto è bloccato. Per visualizzarlo devi accettare i cookie '%CC%'.