Il volo, seguito da tutti i radar, all’improvviso si è trasformato in un enigma
SOCIETA’ Einaudi pubblica, nella collana Stile Libero, “I-Tigi”, libro e video di Del Giudice e Paolini
Ustica, l’ennesimo mistero italiano. La tragedia del Dc9 dell’Itavia in volo da Bologna a Palermo, abbattuto il 27 giugno 1980 nel cielo di Ustica. Ottantuno morti. Un buco nero
e una ferita profonda nella storia del nostro Paese. L’attore e regista Marco Paolini e lo
scrittore Daniele Del Giudice l’anno scorso ne hanno tratto uno spettacolo, “I-TIGI –
Canto per Ustica”. Che ora diventa un cofanetto (Einaudi Stile Libero, lire 35 mila): il video dello spettacolo e il libro “Quaderno dei Tigi”, che comprende due testi nei quali
gli autori mettono in scena l’evolversi del progetto, il copione dello spettacolo e una
lettera di Giovanna Marini.
“Abbiamo raccontato questa tragedia - ricorda Del Giudice, 52 anni, veneziano - come
la storia degli ”i-tigi”, perché è la sigla dell’aereo che era dipinta sulle ali. Se uno toglie il
trattino diventa come un nome. L’ho immaginato come un popolo antico. Raccontando
questo volo come la storia dei ”tigi” finiti in fondo al mare”.
“Con Paolini siamo partiti dalle voci dei piloti, l’unica cosa che conosciamo ma che non è stata mai raccontata. Il volo dal punto di vista dell’aeroplano, dei passeggeri e dei
piloti, ma anche guardato da terra. Abbiamo descritto come quel volo minuto dopo minuto sia stato seguito da tutti i radar, compreso quello di Ciampino, con cui i piloti hanno parlato fino a due minuti prima della caduta”.
Come tutti gli aerei anche il Dc9 è stato identificato e seguito già otto minuti dopo il decollo da Bologna. “Il primo sito radar della difesa Nato a vederlo e identificarlo - prosegue Del Giudice - è stato quello di Poggio Renatico, Ferrara, che ha trasmesso l’avvistamento agli altri siti radar della difesa. Poi giù: Poggio Ballone, Potenza Picena, Licola, Marsala... Quei nastri radar, quei tabulati sono l’unica cosa che rimane”.
“Le impronte di questa tragedia sono tracce radar. Per leggerle e comprenderle, c’è voluta molta pazienza: talvolta ci siamo smarriti. Nello spettacolo non pensiamo di poter dire chi è il colpevole. Non c’è questa possibilità, non si può neanche dire se è stato un missile, se è stata una cosiddetta near collision, cioè una collisione vicina, in cui un aereo è passato velocissimo vicino a un altro, provocando una turbolenza aerodinamica che ha prodotto la rottura di cinque metri e mezzo nella semiala sinistra”.
I periti in vent’anni non sono riusciti a scegliere una delle possibili cause sulla base della meccanica propria dell’incidente. Nemmeno quella della bomba. Del Giudice e Paolini hanno lavorato senza partito preso, senza pregiudizi, senza dare soluzioni.
“Ustica - dice ancora lo scrittore - oggi è una storia che consente molte riflessioni. Riflessioni che riguardano la democrazia e la storia della democrazia, la nostra drammatica storia di conseguimento di una democrazia completa. Lo Stato in vent’anni si è presentato con due facce opposte. Da un lato un’istituzione importante come quella della difesa aerea, il cui compito è vigilare e salvaguardare la sicurezza nei nostri cieli, che si è comportata come una sorta di autocrazia: non ha mai comunicato ai politici ciò che era accaduto, ha deciso di non rivelare ciò che aveva visto, si è comportata come uno Stato autosufficiente che dialoga con i propri alleati naturali ma che non fa riferimento allo Stato di cui è parte. Ma c’è anche la faccia di un’altra istituzione, la magistratura, che con difficoltà, pazienza e perseveranza ha cercato i brandelli della verità, tentando di ricostruirla”.
Rimane l’intendimento degli autori. “Da parte nostra volevamo raccontare questa storia ai ragazzi che oggi hanno più o meno vent’anni. Parlare loro di Ustica, di quella tragedia, della situazione politico militare di quell’anno nel Mediterraneo. Spiegare a chi non ha vissuto o non ha memoria di quegli eventi un fatto che, oltre a essere grave per le vittime che ha prodotto, è grave dal punto di vista della democrazia”.
“Perché se una democrazia - conclude Del Giudice - non riesce a far chiarezza sul proprio passato, a elaborare il lutto e trasformarlo in memoria, resta con delle ferite che non si cicatrizzano. Ecco, Ustica è importante perché racconta una cicatrice nel nostro difficile conseguimento di una democrazia piena, in cui i rapporti tra i poteri siano definiti dalla Costituzione”.
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