«Non sono io» esordisce così Marco Paolini nel suo Ballata di uomini e cani. Dedicata a Jack London. Da questa battuta iniziale piace partire per tentare di capire come quel 'non essere' sia in realtà un ribadire forte il proprio essere narratore a favore della storia, dell'autore e del pubblico e alla fin fine dello stesso Paolini e della sua pulsione al raccontare. Eh sì perché per sua stessa affermazione il 'nostro' è o fa le veci di Jack London, ma anche questo aspetto è in realtà un nuovo spiazzamento, un giocare con la menzogna, un preparare lo spettatore accorso per il Paolini degli Album, del Vajont a qualcosa d'altro. L'accento 'americano' con cui fa parlare Jack London è per Paolini il segno della finzione, l'impossibilità di raccontare la vita di quello scrittore anarchico, socialista, pirata e avventuriero, autore di una quarantina di romanzi e un migliaio di racconti, consegnato alla storia della letteratura come 'scrittore per ragazzi'. Ecco la chiave: i racconti.
E' come se Marco Paolini volesse ribadire ai suoi spettatori e forse a se stesso che a vivere e a pretendere di essere sono i racconti, sono gli uomini e i cani di Jack London, sono le sue storie nel deserto di neve, sono quei cani che pensano, agiscono come uomini e quegli uomini che per ferocia e crudeltà sono peggio delle bestie. «Altro che scrittore per ragazzi!», sottolinea più volte l'attore, che su una pedana, dentro e sopra bidoni di latta racconta di Macchia, di Bastardo e 'recita' Preparare un fuoco, il racconto che ha dato vita allo spettacolo. Su queste tre narrazioni diverse per cromatismi, per ritmo si costruisce Ballata di uomini e cani, in cui la parola si sposa alla musica, in cui il ritmo del dire e respirare teatrali sono sostenuti, accompagnati dalle musiche composte ed eseguite da Lorenzo Monguzzi con Angelo Baselli e Gianluca Casadei. Macchia è la storia di un cane marrone con un occhio nero, grasso e furbo, uno di quei cani che non ti stacchi di dosso e che hanno più vite di un gatto. Bastardo racconta la vicenda di Black e del suo padrone Leclère, è una sorta di ballata macabra, in cui il daimon è tutto nel digrignare i denti dei due, è un comune e malefico ringhiare dolore. Preparare un fuoco è il rapporto intimo fra uomo e cane, è il contare su di sé e perdersi via, è attesa, ma anche intimismo di un narrare pulito, che si concede a poche digressioni.
Alla fin fine ciò che propone Ballata di uomini e cani è la voglia di Paolini di concedersi il piacere del narrare per il narrare, è il tentativo di fare un passo indietro da se stesso per porsi al servizio del suo autore, della passione per quel mondo a tratti livido e spietato che mette sullo stesso piano uomini e cani, accomunati da un esistenza che non ha fine ma semplicemente è. E allora è semplicemente Marco Paolini, l'attore che racconta, che ammicca al pubblico per tenerselo accanto, ma poi lo riporta nel cuore della storia, si concede e poi si ritrae, insomma Paolini si conferma se stesso, in nome di London. Eh sì perché alla fin fine, per quanto trattenuto, Marco Paolini non può esimersi da offrire al suo pubblico il suo narrare che comprende anche improvvise aperture comiche, battutine o semplici ammiccamenti che hanno il fine di tenere desto il pubblico, di testarne il polso, di chiederne e sollecitarne la partecipazione. Tutto funziona, forse con meno trasporto di altre prove dell'attore, ma il pubblico non va tanto per il sottile e applaude con divertito trasporto.
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