Pubblicato il 16 Gennaio 2024
Andrea Frambrosi - Eco di Bergamo
L'intervista. Patrizia Laquidara in scena dal 16 al 21 gennaio al Donizetti: «Interpreto la Jole, accompagno Marco con le mie canzoni e insieme peschiamo ricordi dal passato in un bar dove reale e virtuale si incontrano»
di Andrea Frambos
La Stagione di Prosa 2023/2024 della Fondazione Teatro Donizetti inaugura il nuovo anno con «Boomers», spettacolo scritto e diretto da Marco Paolini in scena al Teatro Donizetti da martedì 16 a domenica 21 gennaio, con replica straordinaria sabato 20 gennaio alle ore 17 (spettacoli serali inizio ore 20.30, domenica 21 ore 15.30). In palcoscenico l'attore veneto sarà affiancato dalla cantante e attrice Patrizia Laquidara, che firmale canzoni originali, e da tre musicisti, Luca Chiari, Stefano Dallaporta, Lorenzo Manfredini. Giovedì 18 gennaio alle ore 18.00, presso la Sala Riccardi del Teatro Donizetti, è previsto un incontro attorno allo spettacolo con la partecipazione di Marco Paolini e della compagnia. Modera Maria Grazia Panigada, direttrice Artistica della Stagione di Prosa e Altri Percorsi della Fondazione Teatro Donizetti.
Patrizia Laquidara, da dove arriva questo spettacolo?
«Arriva da un'idea e da una visione di Marco Paolini e poi anche dal nostro incontro. Marco mi ha sentito cantare anche se ci conoscevamo già da diverso tempo, mi ha vista sul palco e mi ha proposto di fare questo lavoro insieme. Una richiesta di collaborazione che è partita dalla voce perché io nasco come cantante. In questo spettacolo però lui ha pensato a me per una figura molto particolare, quella della Jole, la barista che ha sempre avuto un ruolo piuttosto importate nei suoi `Album", che per me è un ruolo di responsabilità».
Quindi Paolini l'ha trasformata da cantante in attrice o i due ruoli sono intercambiabili?
«I due ruoli sono sicuramente intercambiabili, diciamo che la voce è sicuramente la strada principale, quella che dà la direzione a tutto. In questo personaggio di Jole io mi muovo sia come cantante che come attrice».
Anche perché lei è l'autrice di numerosi brani di quella che potremmo chiamare la colonna sonora dello spettacolo.
«Sì, tutte le canzoni originali originale sono scritte da me per quanto riguarda la melodia e la musica. Per i testi invece c'è stato un lavoro di collaborazione tra me e Marco Paolini. Sono canzoni molto semplici perché il mio intento era quello di scrivere delle canzoni che potessero avere in qualche modo un'impronta un po' popolare, qualche cosa che potesse essere immediatamente fruibile e memorizzatile dal pubblico che poi, infatti, alla fine, canta anche con noi. Quindi canzoni molto semplici che seguono la narrativa del testo di Marco e poi insieme a queste canzoni ci sono anche delle parti musicali molto importanti che strizzano più l'occhio a una musica più elettronica, più contemporanea eseguita da tre musicisti: basso, chitarra e trombone, che sono con noi sul palco».
Quindi uno spettacolo dove la musica ha un ruolo centrale.
«Ha un ruolo molto importante perché è proprio dentro alla narrazione. Conduce all'inizio fino alla fine e anche le parole delle canzoni fanno parte della narrazione».
A proposito di narrazione, senza rivelare troppo, ci sembra di aver capito che, tra le altre cose, questo e anche uno spettacolo sulla memoria.
«Sì, sicuramente, una memoria che si mescola perché quando peschi da un passato di un paese smemorato non tiri su memoria ma schegge, schegge impazzite. In qualche modo noi ci troviamo a rivivere cinquant'anni della storia d' Italia ma con ricordi tutti mescolati alla rinfusa co- me dentro a un algoritmo in fase sperimentale. E così questo luogo, il bar della Jole che in qualche modo è un rifugio di Nicola che è l'alter ego e, in questo caso, l'avatar di Marco Paolini, dove lui andava quando era ragazzo, scopriamo essere dentro a un metaverso. Non è più il bar ma il ricordo di quello che era, dove, all'interno, si possono rivivere i primi amori, gli scontri politici, tutto questo con i personaggi che al tempo frequentavano il bar della Jole, personaggi un po' sgangherati».
Potremmo definirlo quasi un incontro-scontro tra il reale e il virtuale?
«Assolutamente sì, è un incontro che a volte diventa anche scontro».
Nello spettacolo però c'è anche uno scontro generazionale tra un padre e un figlio.
«Sì, perché a creare questo gioco in cui Nicola/Marco Paolini si ritrova è il figlio di Nicola ma questo pone anche delle domande molto importanti, ancora una volta, sul ruolo della memoria sul confronto generazionale perché a un certo punto sembra che non ci sia più la possibilità di un confronto perché è come se si fosse rotto un codice. Non c'è più lo scontro, la polemica tra generazioni ma una cesura quasi totale».
Ma c'è anche questo scandagliare la nostalgia di un passato che sembra sempre migliore del presente e magari, invece, non lo è.
«Infatti questo è un trabocchetto in cui Paolini non cade mai per fortuna. Perché a un certo punto si mostra bene quali sono anche le fragilità, le debolezze di quel passato, anche le miserie».
Lei è cantante e ora attrice: si sente più l'una o l'altra?
«Nasco come cantante e sono conosciuta come tale da almeno vent'anni, però ho lavorato spesso in teatro non con una collaborazione così assidua come è successa con Marco Paolini ma mi è successo spesso di lavorare in teatro. Quindi i due ruoli si sono spesso mescolati. Da qualche mese è uscito anche un mio libro che si intitola "Ti ho vista ieri" e devo dire che è proprio da quel libro che è nata la collaborazione con Marco perché portavo in giro uno spettacolo di canzoni che uscivano proprio da quel libro e lui è rimasto colpito dalla scrittura e ha cominciato a tifare per questo libro. E un momento della mia vita in cui tutti questi ruoli o meglio queste passioni si stanno mescolando».
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