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La Cronaca – Paolini si divide gli applausi con il genio di Galileo

L’attore, solo in scena, ha ripercorso le tappe di una storica rivoluzione

Dispiace non poter esaltare “Itis Galileo” di Marco Paolini, bestiaccia da palcoscenico, affabulatore sanguigno e penetrante, narratore di assoli strepitosi che hanno riportato pezzi di tormentata storia italiana sulle tavole dei teatri e degli schermi televisivi.

Portato in scena lunedì sera e ieri sera per la stagione di prosa del Teatro Municipale, “Itis Galileo” è stato scritto a quattro mani da Paolini e Francesco Niccolini (curiosamente omonimo del Granduca di Toscana nella cui dimora romana Galileo Galilei trascorse cinque mesi di prigionia) partendo dalla considerazione che essere geniali, in circostanze difficili, può essere un problema, soprattutto per gli altri.

Il genio in questione è ovviamente quel Galileo nato a Pisa nel 1564, di cui Paolini rincorre la vita, contestualizzandola nella storia e nella cultura del tempo. Siamo fra Cinquecento e Seicento, la drammaturgia compie un grosso balzo in avanti grazie a Shakespeare che sul cominciare del 1600 scrive “Hamlet”, gli scienziati sono spesso anche astrologi e per calcoli e interpretazioni si affidano al “Tetrabiblos” scritto da Tolomeo nel II secolo.

Nel 1610 si stampa il “Sidereus nuncius” in cui Galileo scrive le meraviglie del cosmo scoperte grazie al suo cannocchiale che, sollevato dalle urgenze bibliche, puntato verso l’emisfero celeste rivela come il cielo sia popolato da una sterminata serie di stelle. Ha inizio la rivoluzione galileiana che culmina con il volume “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” composto fra il 1624 e il 1630, pubblicato nel 1632, che confuta il sistema tolemaico-aritsotelico per sostenere le teorie eliocentriche di Copernico.

Le regole della stabile e vigente alleanza fra metafisica e teologia non sono però negoziabili. Nel 1600 il feroce ammonimento della Chiesa con il rogo di Giodano Bruno. Tempi duri, durissimi, lo sa anche Tommaso Campanella, che trascorre in carcere quasi trent’anni.

Lo sa ben presto Galileo, che com’è noto il 22 giugno del 1633 sottoscrive davanti alla Santa Inquisizione l’atto d’abiura dove rinnega le sue opinioni che vogliono la terra in perenne moto intorno al sole.

La classica dialettica fra scienza e religione, già drammaturgicamente indagata e rappresentata da Bertolt Brecht in “Vita di Galileo”, è posta da Paolini come possibilità per la scienza di sperimentare e studiare per conto proprio anche grazie a nuove strumentazioni e come la libertà del singolo di seguire autonomamente la propria ricerca della verità.

Vi è inoltre un altro elemento che irrompe in “Itis Galileo”: la superstizione, cioè quella cosa in grado di blandire l’animo umano e di convincere non solo animi semplici e creduloni ma anche menti colte e brillanti. Galileo stesso, che si sforza di portare la scienza allo studio della vera costituzione dell’universo, per vivere non disdegna di disegnare e interpretare oroscopi rifacendosi alle teorie delle stelle fisse di concezione Tolemaica. Contraddizioni umane, opportunismo spicciolo o interpretazioni diverse secondo le finalità?

Pur essendo lontano dalle sue performance migliori, Marco Paolini è sempre bravo e coinvolgente, solo su un palcoscenico sul quale incombe un pianeta dall’aspetto esplosivo, svolge la sua lezione con piglio istrionico, balzi nella commedia dell’arte e un finale rock riuscitissimo. Se ne esce istruiti e divertiti ma si rimpiange la forza drammatica ed eversiva con cui da anni vizia e culla i suoi estimatori.

Chiaro come sempre il messaggio: della verità non bisogna essere custodi ma ricercatori instancabili e mai paghi.

Tanti e affettuosi gli applausi del numeroso pubblico in sala.

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