Spettacolo a Firenze tra i vagoni ferroviari
Invece del palco, il piano di un vagone merci (di quelli "nudi") con due sedie alte e un leggio. Invece delle quinte, due vecchie, splendide locomotive a vapore, su un binario più vicino alla "platea" che contiene 2000 persone. Le luci che illuminano lui, il mattatore, Marco Paolini, sono sulla testa di due locomotori posti su un altro binario ancora: un diesel e un modello del 1935, a corrente. Infine, invece del fondale, della scena, vecchi vagoni di terza classe, verdi, che un bagno di luce colorata rende una presenza strana, suggestiva, di grande fascino. Come lo è - del resto - tutto l'allestimento di questa "replica" particolare di "Stazioni di transito", nuovo "album di storie" e nuovo assolo di Paolini, ambientato, in omaggio al punto di partenza "ferroviario" di questo racconto, al deposito vagoni di Porta a Prato, presso l'ex stazione Leopolda.
L'evento c'è, non c'è dubbio, per l'unicità dell'occasione - tra la cornice e il maxipubblico - e perché le capacità di Paolini non si discutono: la sua arte di raccontare, di evocare con raffinatezza sottile e insieme con vivacità corposa, la sua simpatia nell'intrattenere si confermano anche nelle parti più "leggere", scorrevoli, di questa lunga galoppata nel ricordo, fatta di episodi tra i quali ogni collegamento si perde. Ma, come già notato altre volte, la statura di Paolini si avverte soprattutto quando il viaggio nella memoria tocca toni più profondi, "seri", oppure nostalgici, e quando dai ricordi individuali si passa al rivivere momenti tragici della nostra storia recente, magari eventi che gridano ancora vendetta. É questo Paolini drammatico, ispirato e poetico oppure politico, "civile", quello che merita di più il suo successo; e non lo diciamo perché nostalgici ad ogni costo del suo mitico "Vajont".
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