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La Nuova di Venezia e Mestre – Veneto da bestiario

Ma quale capitale europea della cultura? La cultura, in questo Veneto, è argomento per sordi. Sarà perché sta raccontando il suo nuovo Bestiario («Bisogna») davanti a 3.500 persone radunate dai Cat (centri per il territorio e l’ambiente) per manifestare contro la cementificazione della Riviera del Brenta. Sarà perché l’ambiente, nell’attuale agenda politica italiana, pare scomparso. Sarà... ma lo sguardo di Marco Paolini sulla sua terra è meno indulgente che dieci anni fa, all’epoca del primo Bestiario. E’ uno sguardo più duro, ombroso, ironico sempre, ma meno possibilista verso il futuro. Sistemato su un insolito palcoscenico (il carro di un trattore) sabato pomeriggio a Dolo, in un campo di grano inondato dal sole e di fronte a una folla da stadio, Paolini assesta subito un diretto contro l’establishment della politica. «Mi hanno chiesto di fare un lavoro - esordisce - in preparazione alla candidatura del Veneto a capitale europea della cultura». Ma quale Veneto, il primo? Il secondo? Il terzo Veneto è la risposta, quello che doveva aprirsi con la Carta di Asiago, una specie di “arca di Galan” dove salvare il salvabile. «C’era un primo Veneto - spiega - era quello a strati, che cominciava con Venezia e il mare e s’inerpicava sulle Dolomiti». Era un Veneto contadino, povero, ma che sapeva vivere col suo paesaggio. Finché, alla fine dell’Ottocento, i campi cominciano a passare «dai contadini alle banche e le banche non lavora la terra... ma vende!». I contadini vendono e diventano braccianti, s’impoveriscono e s’impoverisce la terra, latifondo a monocoltura, da cui nascono polenta e pellagra. Quel Veneto finisce sotto una colata che uniforma gli strati della prima bellezza e arriva il secondo Veneto, dei capannoni, dei centri commerciali e delle rotonde. E anche questo Veneto qui è finito. La terra se la son fatta fuori quelli che «l’hanno comprata al chilometro e venduta al metro» e ci hanno piantato i centri commerciali. Le grandi opere, però, «non sono una categoria dello spirito», non si può essere semplicemente contro, occorre pensarci. L’esempio è Rigoni Stern, per cui occorreva finirla la Valdastico, perché così abbiamo ucciso la Valsugana. La modernità non è un mostro, è una condizione nella quale bisogna saper scegliere come vivere. Se, come osservava Rigoni Stern, la corriera da Asiago a Venezia ha guadagnato appena 17 minuti in cento anni, bisogna tenerne conto. «Lo scopo della modernità è mantenere la velocità del secolo scorso. Di più non possiamo correre».

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