CASALMAGGIORE-Marco Paolini ha voglia di prendere le distanze da se stesso, o meglio dall'etichetta che si è ritrovato cucita addosso dopo il Vajont e dopo quel Teatro civico che l'ha portato a raccontare i mali dell'Italia contemporanea da Ustica a Marghera. Ecco la prima impressione che ieri sera ha regalato Song n°32, concerto teatrale applaudito da un Comunale gremito all'inverosimile. Marco Paolini si è trasformato in chansonnier, affidandosi alla collaborazione con il gruppo Mercanti di liquore, composto da Lorenzo Monguzzi, Piero Mucilli, Simone Spreafico, un gruppo che nelle sonorità e negli arrangiamenti dei testi poetici (da Dino Campana alle filastrocche di Rodari, dal Sergente nella neve di Rigoni Stern alla ligua sonora di Biagio Marin e Giacomo Noventa) guarda forse inconsciamente a Fabrizio De Andrè.Song n°32 è nato da questa collaborazione, è un mix di recitato e cantato, in cui Paolini dà fondo alle sue doti di interprete, alla sua voglia fisica di stare sul palcoscenico, al desiderio di provarsi in altro modo, magari reinventandoil teatro canzone gaberiano. S'inizia con il racconto di una trasferta da Treviso a Bologna per comprare libri col fine di rieducare i soci del Circolo 1°Maggio per poi evocare la ritirata di Russia, mediata dalla scrittura/testimonianza di Rigoni Stern. Si passa dalla polenta partigiana all'inno sull'acqua rappato dallo stesso Paolini ì, alla filastrocca Adriatico, per giungere sulle sponde della Senna parlando di poesia e della terza cantica dantesca, ma anche dell'amore per una compagna di classe, del liceo, parmigiana e un po' snob come solo le parmigiane sanno essere. Musica e parole si intrecciano e i frammenti dei Canti Orfici di Dino Campana si sciolgono bene sulle note dei Mercandi di liquore. Marco Paolini porta di se la passione per la poesia e il suo approccio naif, un approccio del sentimento e del piacere di dire versi, nella convinzione che la “poesia prima è e poi significa”. Si diverte moltissimo Paolini in questo ruolo di cantattore, ci si trova a suo agio e si concede vezzi da rockstar. Non manca comunque la sua voglia di raccontare, la forza di unire alto e basso, storia dei grandi fatti con aneddoti di vita vissuta, biografica o meno poco importa. C'è il suo dialetto veneto, c'è Treviso ma c'è anche la pianura padana negli Album che Paolini sfoglia sul palcoscenico trascinandosi dietro il pubblico in due ore abbondanti di spettacolo. Alla fine l'applauso è da concertro e il volto di Marco Paolini sembra esprimere con convinzione: “Non sono solo quello del Vajont”.
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