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La Repubblica – Il cantastorie Paolini e la fiaba nella tragedia

A Bologna lo struggente spettacolo dell'autore-attore per ricordare i morti di Ustica

Commozione, rabbia e ironia nei cori creati da Giovanna Marini con Corrado Sannucci. Del Giudice è coautore del testo

BOLOGNA - Non è un caso che lo spettacolo dedicato da Marco Paolini, nella sera del ventesimo anniversario, alla tragedia del DC9 abbattuto sopra Ustica si svolga nel raccoglimento ispirato dalle grigie pietre di Santo Stefano, prima di far ingresso nella tappa palermitana alla restaurata Santa Maria dello Spasimo. Sul crostone verde incorporato nello splendido complesso architettonico, sopra all'acciottolato della piazza gremita, si celebra infatti una autentica cerimonia della memoria, riaffermando ancora una volta che il teatro acquista un senso dal carattere di religiosa necessità che questa orazione civile ribadisce.

Se, come nel celebre precedente del Vajont, alla base della produzione di Accademia Perduta si punta di nuovo su un'inchiesta dettagliatissima, questa vicenda, passata alla storia col nome di Ustica (che evoca una bruciatura), non ha colpito a tutt'oggi alcun responsabile e solo ora arriva a una formalizzazione processuale, condensandosi nel mistero di una guerra aerea combattuta senza essere dichiarata e di un attentato costato per errore ottantuno vite umane. Ecco quindi vibrare una laica nenia di morte sulle vittime ignare di un terrorismo di stato che non ha ufficialmente svelato la sua complicità né la precisa meccanica della barbara azione.

Accanto alla consueta lavagna di Paolini, qui informatizzata, trasparente e a più strati, si leva il "Canto per Ustica" creato con Corrado Sannucci da Giovanna Marini e da lei stessa eseguito assieme al suo quartetto vocale: la sua ricercata complementarità con le voci di Patrizia Bovi, Francesca Breschi, Patrizia Nasini diviene coro, commento, corpo dell'azione nel distendersi dal compianto alla preghiera, dal quotidiano alla Storia, tra commozione rabbia e ironia, senza dimenticare le grandi pagine che videro l'artista romana misurarsi coi padri greci del teatro.

Del resto alla base, a spingerci dalla cronaca al mito, c'è lo spunto ripreso da un brano del romanzo di scrittore-pilota pubblicato nel '94 da Daniele Del Giudice, coautore del testo e ispiratore del titolo, "I-TIGI, canto per Ustica", dove una sigla umanizza le parti metalliche dell'aereo smembrato e quindi ricomposto.

La ricostruzione in due ore di Paolini parte da elenchi di ritardi e di rotte, si colora delle voci degli operatori radar dispersi nella penisola, penetra nel labirinto dei velivoli fantasma in via di moltiplicazione, conduce per mano lo spettatore nell'intrico di tracce e sospetti emersi a ondate nel tempo, rinunciando a dare una propria soluzione per quanto si sbilanci nel descrivere l'inizio degli anni 80 come momento cruciale di un sanguinoso gioco di ricatti e assestamenti tra le potenze internazionali. Intanto l'aereo, di cui s'è già evocata la carcassa, continua per tutto il monologo a restare sospeso nell'aria, in attesa del fato.

Il cantastorie ci avvince dall'inizio tra dati e peripezie con la personalizzazione dei suoi vezzi espositivi, giocando sulla ripetitività e favoleggiando. Né mancano gli affanni nella parte conclusiva tra emozione e fatica: si tratta in effetti di approdare all'ora X, alle 21 del 27 giugno 1980, un attimo dello scoppio e della sparizione dell'aereo dalla carta e dal cielo, con la parola "gua", ultima registrata dalla scatola nera. E un lungo intenso silenzio precede l'uragano degli applausi.

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