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La Repubblica – Un "Milione" e Paolini con la potenza delle parole

Al Piccolo, fino a domenica, l'emozionante prova dell'attore di Vajont

Nelle culture orali, tutto passava attraverso il racconto. Non c'erano leggi esplicite, teologie, trattati, enciclopedie - solo storie. Anche se l'affermazione della scrittura e delle successive tecnologie dell'informazione ha completamente permeato la nostra società e il nostro pensiero, troviamo ancora un'eco di ciò in quella vasta produzione che chiamiamo miti, poemi epici, leggende popolari. E nel teatro, almeno nel teatro che ama raccontare storie, da Dario Fo ai pupi siciliani, da Peter Brook al Kathakali. Marco Paolini appartiene a questa genealogia. Il suo teatro si basa sulla forza della parola, ma non nel senso tipico della tradizione drammatica e poi della commedia di conversazione dell'imitazione di un dialogo "reale" che si sarebbe svolto o avrebbe potuto svolgersi nella "vita reale". La parola del narratore esercita il suo potere nel momento in cui si manifesta, crea mondi, evoca persone, fa ridere e piangere, intenerisce e produce indignazione.

Questa sua arte di narratore Paolini l'aveva lungamente elaborata negli Album che raccontano della sua infanzia, poi l'ha portata a un livello di alta tensione nell'"orazione civile" sul Vajont, che dopo un periodo "clandestino" ha raggiunto un largo pubblico attraverso la televisione. "Il Milione" è un passo successivo su questa stessa strada della narrazione, in cui Paolini soprattutto mostra di volersi godere il gioco della narrazione, amministrare il suo potere e il suo incanto. Che ci sia un'orchestrina in scena ad accompagnarlo, che la scenografia sia ben presente, che lui stesso appaia "in costume da Marco Polo", che insomma intorno alla figura del narratore si sia accumulata una modesta ricchezza teatrale è molto significativo. Si tratta soprattutto della volontà di far teatro attraverso la narrazione e non solo di usare il teatro come contenitore del racconto. C'è un'evidente volontà di stare al gioco del teatro, per esempio, nel modo molto coreografico e ironico con cui Paolini usa il suo corpo qui; o nel dialogo ritmico e tonale che la sua voce instaura spesso con gli strumenti musicali.

Il centro del lavoro rimane naturalmente il racconto. Un racconto circolare, che torna spesso sulle sue stesse tracce: c'è la Venezia dei turisti e quella dell'ecologia; c'è la grande storia della serenissima e la testimonianza personale, paesaggi lagunari e ingorghi di pedoni sui ponti, allusioni alla contemporaneità e all'antichità delle origini. C'è l'altrove magico e orientale che si impone a chi è nato in terraferma e il diario di comiche peregrinazioni a remi, a motore, perfino a piedi per canali e barene. Soprattutto c'è un grande gesto d'amore, il tentativo di descrivere un fascino fortissimo e reale che come tutti i veri incanti è misto a orrore e a paura.

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