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La Stampa – Marco Paolini: “II futuro si costruisce a teatro a patto di non vendere cinismo”

L'attore apre oggi a Torino Biennale Tecnologia con il filosofo Telmo Pievani

di Fabrizio Accatino

 

A volte le parole di Marco Paolini inchiodano a passati dimenticati, quelli del Racconto del Vajont, de I-TIGI Canto per Ustica, dei suoi Album. Altre volte, invece, possono condurre per mano verso  futuri inconoscibili. L'abbiamo visto quest'anno su Rai3 con le tre puntate di La fabbrica del mondo, lo stiamo vedendo nella tournée di Sani! Teatro tra parentesi, che sta portando in giro per l'Italia. E lo vedremo questa sera alle OGR di Torino, nello spettacolo che apre la terza edizione di Biennale Tecnologia. S'intitola Gli Antenati della fabbrica del mondo ed è una sorta di riduzione teatrale del programma televisivo, in cui l'autore bellunese condividerà nuovamente la scena con il filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani.

«L'idea di spostarci in una dimensione live ci è parsa naturale, quella è la vera natura di ciò che facciamo», spiega Paolini. «Con gli stessi protagonisti del programma, compresa Marta Cuscunà, seguiremo la traccia della terza puntata ma con interventi, testi, contributi musicali tutti nuovi. Legheremo il nostro pensiero al tema di quest'anno di Biennale Tecnologia, "Principi — Costruire per le generazioni", che resterà sempre sullo sfondo come una sorta di domanda etica, a cui ovviamente non avremo la pretesa di fornire la risposta filosofica definitiva».

Dietro lo sforzo produttivo di questo appuntamento one-shot ci  saranno gli stessi quesiti della versione televisiva. Come si può conciliare tecnologia e rispetto per il pianeta? Come possiamo ragionare sulla nostra storia evolutiva con uno sguardo più ampio? E cosa possiamo fare per fermare la catastrofe ecologica? «La nostra scelta è stata di affrontare il problema senza pessimismo, o peggio ancora disfattismo. Ci rendiamo conto che verrebbe naturale, di fronte all'evidenza dei fatti. Noi però non smetteremo di immaginare cosa fare, perché il gusto di La fabbrica del mondo è quello di affrontare una sfida. A noi non compete la politica, a noi interessa trovare la canzone partigiana che tiene insieme le persone, che le motiva ad agire, che le fa sentire meno schiacciate dai doveri. Ragionare esclusivamente in termini di bollette, convenienza, ristori, danni produce solitudine, e un artista dovrebbe avere il dovere morale di non vendere cinismo o distopie».

La riflessione di Paolini e Pievani sull'evoluzione umana insegna una grande lezione: che le migrazioni sono sempre esistite e che se oggi siamo ciò che siamo è perché all'epoca nessuno ha provato a fermarle. «Nell'ultimo secolo e mezzo si è radicata la cultura che è il privato ad avere valore, mentre il pubblico non ha alcun appeal. Quindi se la migrazione attraversando la mia terra lede i miei interessi privati, ecco che subito la sento pericolosa, nemica. Rispetto a una volta, oggi le persone si trovano su terreni più fragili, si sentono sole e accerchiate, mentre gli spazi più sensibili della nostra società vengono gestiti in maniera muscolare, senza una mediazione continua che tenga dentro il cittadino. Lo Stato dovrebbe insegnare a tutti che doveri e diritti hanno la stessa dignità, e che negare gli uni significa far perdere valore agli altri. Non sono per inclusioni senza regole e sono a favore delle norme di convivenza sociale, ma non puoi chiederle agli altri se tu sei il primo a non rispettarle».

Il mondo pensato, narrato, sognato da Paolini è un mondo diverso, in cui è impossibile farsi una ragione del nichilismo che avvolge la politica. E nel dibattito armato tra destra e sinistra, lui si interessa a chi non ha votato. «Sono gli astenuti alle urne a preoccuparmi, gente che rinuncia a uno strumento perché pensa che non conti più. Sono convinto invece che non esista democrazia senza politica. Per le elezioni americane di midterm leggevo gli appelli di Biden e Obama da una parte e di Trump dall'altra, tutti a rilanciare sul fatto che questa è l'ultima chiamata per salvare la democrazia. Se davvero fosse così saremmo fitti. Capisco gli appelli agli elettori, ma raccontare le democrazie in maniera così debole va a beneficio di quei Paesi che la democrazia non ce l'hanno. E come regalare a russi e cinesi un vantaggio strategico sul campo che francamente non meritano».

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