L’attore ha presentato ad Arco il suo ultimo spettacolo
ARCO – Una striscia di terra tra la Galassia Pedemontana e la Laguna Mondo. In questo spazio mentale, ancor prima che fisico e geografico, Marco Paolini ha ambientato il suo “Bestiario Veneto, parole mate”. Due ore di un monologo meno brillante dello splendido “Il Milione”, meno pregnante del celebrato “Vajont”, ma gustabile anche da un pubblico – quello arcense – comunque distante dall’universo veneto. Paolini ha riempito il Salone del Casinò, esaurendo le sedie, e nessuno, fino all’ultima battuta, ha ceduto alla sfida dell’attore. Un viaggio intimistico che vive di poesia, di ricordi, di suoni entrati nel pedigree di ogni veneto. Un’origine sulla quale Paolini gioca, sdrammatizzando il fenomeno del nord est, tanto efficace sul piano economico quanto impoverito su quello sociale. Terra di imprenditori e di gabbiani, di ossari disseminati sui monti della Grande Guerra e di fiumi di cui nessuno, ormai, ricorda il nome. “Un piccolo mondo antico che muore o una Los Angeles che nasce?” si interroga Paolini. E se la laguna era la protagonista de “Il Milione”, nel “Bestiario” è la pianura a fare da sfondo ad un copione animato dai testi di Meneghello, dalle poesie di Zanzotto, Marin, Giacomo Noventa e Romano Pascutto. “Provo a nominare le cose per non dimenticarle”, spiega l’attore. Storie venete, sulle quali il vento compie il suo viaggio impetuoso, scollando i manifesti, sfiorando le ciminiere di Marghera, approdando all’Adriatico. “Come il ’68 – dice Paolini – tanto vento e poca pioggia che bagna e cambia le cose”. Poesie condite di memorie e riflessioni sottovoce, mosse dalle incursioni musicali dei “Maistral”, scandite dall’incedere delle luci che colorano il mosaico geografico sul quale Paolini si muove. E sul filo dell’applauso, mentre le ribaltine lo concedono all’ombra, Paolini conclude un monologo più poetico che divertente nel modo più semplice: “Prima di parlare, lesi”.
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